Il Tribunale di Milano, con il provvedimento n. 5145/2020, ha affermato che la sospensione dei termini processuali introdotta durante il periodo emergenziale si applica anche al termine di 60 giorni per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento. Sotto diverso profilo, i Tribunali di Roma (pronuncia n. 86577/2020) e di Palermo (sentenza 30615/2020) si sono, invece, soffermati sull’impugnativa del licenziamento, inviata a mezzo pec quale allegato, scansione dell’originale, priva di autentica sottoscrizione da parte dell’interessato.
- Sospensione dei termini di impugnazione del licenziamento nel periodo emergenziale
L’art. 6 della Legge 604/1966 prevede che:
- il licenziamento, a pena di decadenza, deve essere impugnato entro 60 giorni dal ricevimento della relativa comunicazione e
- l’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del Tribunale in funzione del giudice del lavoro.
Ciò premesso, gli articoli 83, comma 2, del Decreto Cura Italia, e 36, comma 1, del Decreto Liquidità, tra le misure per far fronte all’emergenza sanitaria dovuta al diffondersi del virus COVID-19, hanno disposto la sospensione “straordinaria” dei termini processuali dal 9 marzo 2020 sino al successivo 11 maggio.
In tema di impugnativa del licenziamento, il Tribunale di Milano, con il provvedimento del 14 ottobre 2020 n. 5145, ha affermato che la sospensione dei termini in questione non si applica solo al termine di 180 giorni relativo all’impugnazione giudiziale del licenziamento ma anche al termine decadenziale di 60 giorni inerente alla sua impugnazione stragiudiziale.
A parere del Tribunale una interpretazione restrittiva contrasterebbe con la natura unitaria dei due termini di impugnazione e con la “la ratio della decretazione d’urgenza di limitare le conseguenze negative della pandemia anche per la tutela giurisdizionale dei diritti”.
2) Modalità di impugnazione
Sotto altro profilo, i Tribunali di Roma e di Palermo si sono di recente soffermati sull’impugnativa del licenziamento, inviata a mezzo pec quale allegato, scansione dell’originale, e dunque una copia immagine priva di autentica sottoscrizione da parte dell’interessato.
Il Tribunale di Roma, con la pronuncia del 20 ottobre 2020, n. 86577, ha dichiarato che l’impugnativa di licenziamento può avvenire, indifferentemente, sia (i) allegando al messaggio pec un documento informatico (il c.d. “atto nativo digitale”) sia (ii) inviando la scansione dell’atto cartaceo sottoscritto dal difensore e dall’interessato, anche se privo di firma digitale.
Di diverso avviso è stato il Tribunale di Palermo che, con la sentenza del 28 ottobre 2020, n. 30615, ha dichiarato inefficace l’impugnativa di licenziamento inviata dal legale del lavoratore al datore di lavoro, tramite pec, se non accompagnata dalla sottoscrizione digitale o da un’attestazione di conformità degli atti.
Il contrasto giurisprudenziale ormai aperto sul tema, ci si auspica sia a breve risolto da una decisione della Suprema Corte o da una novella normativa.
Stabilire, infatti, se l’impugnativa quale copia immagine sia efficace o meno è dirimente nel decidere se l’atto così composto abbia il valore di un atto interruttivo dei termini di decadenza di cui all’art. 6 L. n. 604/1966.
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