Il rapporto di lavoro autonomo si distingue da quello subordinato per l’assenza del vincolo di soggezione del lavoratore ai poteri direttivi, di controllo e disciplinari del datore di lavoro.
La qualificazione del rapporto individuata nel contratto di lavoro non è, di per sé, idonea a qualificare il rapporto come autonomo o subordinato, dovendo il giudice, in caso di contestazione, fare riferimento alle concrete modalità di svolgimento della prestazione.
A tal fine, la giurisprudenza ha individuato negli anni una serie di indici che, valutati complessivamente, possono portare a ritenere che il rapporto di lavoro, seppur qualificato come autonomo dalle parti, celi in realtà una forma di subordinazione.
Nello specifico, gli indici ausiliari individuati dalla giurisprudenza sono:
L’azione volta alla riqualificazione di un rapporto di lavoro autonomo in rapporto di lavoro subordinato può essere avanzata sia da parte del lavoratore interessato che, in caso di ispezione, da parte delle competenti autorità preposte a vigilare sulla corretta qualificazione dei rapporti di lavoro (i.e., ITL, INPS).
La riqualificazione del rapporto comporterebbe per il datore di lavoro – in estrema sintesi – le seguenti conseguenze:
Le collaborazioni coordinate e continuative sono caratterizzate da una prestazione:
La prestazione deve intendersi coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa.
Pur in presenza di un’attività svolta in via continuativa e prevalentemente personale, se le modalità di esecuzione della prestazione sono organizzate dal committente, il rapporto di collaborazione rientra nell’alveo della disciplina del lavoro subordinato (inquadramento previdenziale, retribuzione, orario, tutela contro i licenziamenti illegittimi ecc.).
La disciplina del lavoro subordinato non trova invece applicazione quando, pur in presenza di un raccordo e coordinamento tra collaboratore e struttura organizzativa del committente, non vi sia un’ingerenza di quest’ultimo nell’individuare le modalità esecutive della prestazione.
I c.d. “riders” sono lavoratori che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore attraverso piattaforme anche digitali, ossia attraverso programmi e procedure informatiche utilizzati dal committente e strumentali alle attività di consegna di beni, fissandone il compenso e determinando le modalità di esecuzione della prestazione.
L’art. 2, comma 1, del D.Lgs. 81/2015 prevede che la disciplina del rapporto di lavoro subordinato si applica ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche mediante piattaforme digitali.
E in questo contesto, la Corte di Cassazione, con la sentenza del 24 gennaio 2020, n. 1663, ha osservato che la disciplina del rapporto di lavoro subordinato trova applicazione anche ai rapporti di collaborazione dei riders qualora ricorrano le condizioni previste dalla norma sopra citata (continuità della prestazione e carattere prevalentemente personale).
Ciò che rileva ai fini dell’applicabilità o meno della disciplina del rapporto di lavoro subordinato ai riders è, secondo la Corte, l’esistenza dell’etero-organizzazione del rapporto da parte del committente-piattaforma digitale nella fase funzionale del rapporto. Irrilevante sarebbe invece, secondo la Corte, l’autonomia del lavoratore nella fase genetica del rapporto, giacché questi avrebbe la mera facoltà di obbligarsi alla prestazione, resa con caratteristiche invece di stringente etero-coordinamento da parte del committente.