Il Tribunale di Asti, con ordinanza del 5 gennaio 2022, ha statuito che il periodo di quarantena (ex art. 26, co.1., D.L. 18/2020 ratione temporis applicabile) o di isolamento fiduciario non rileva ai fini del calcolo del periodo di comporto, non solo nei confronti dei soggetti che hanno avuto un contatto stretto con casi di contagio confermati, ma anche nei riguardi dei soggetti risultati positivi al Covid-19. Ciò in quanto impossibilitati per legge a rendere la prestazione lavorativa a prescindere dalla presenza o meno di sintomi legati alla patologia.
I fatti di causa
Nel caso di specie, la lavoratrice, a seguito di contatto con una propria collega risultata positiva al Covid-19, veniva posta dapprima in quarantena e, successivamente, a seguito di esito positivo del tampone effettuato, in isolamento fiduciario. Il datore di lavoro procedeva al suo licenziamento per superamento del periodo di comporto ai sensi del CCNL di settore.
La lavoratrice impugnava giudizialmente il licenziamento intimatole, deducendo che:
- dai giorni di malattia maturati nell’anno solare andavano dedotti quelli compresi tra il 25 novembre 2020 ed il 4 dicembre 2020, dovendosi tale periodo essere considerato come infortunio sul lavoro, per aver contratto il Covid-19 nel luogo di lavoro da una collega; e, in secondo luogo
- lo stesso era qualificabile come “quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva” ex art. 26, comma 1, del D.L. 18/2020 che ne prevedeva l’esclusione dal periodo di comporto.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla lavoratrice, il datore di lavoro sosteneva che la tutela prevista dall’art. 26, comma 1, D.L. n. 18/2020 si riferisse soltanto ai periodi di quarantena con sorveglianza attiva o di permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva disposta dall’autorità e non anche alle ipotesi in cui il lavoratore avesse contratto l’infezione da Covid-19.
La decisione del Tribunale di Asti
Secondo il Giudice assegnatario della causa, nel periodo di comporto non avrebbero dovuto essere computate le giornate di assenza dovute a quarantena o isolamento fiduciario previsti dal legislatore per contrastare la diffusione del virus.
Il Giudice – nel richiamare l’art. 26, comma 1, del D.L. n. 18/2020 così come modificato dai successivi interventi legislativi che ne hanno esteso la portata temporale – ha sottolineato come tale disposizione sia stata introdotta con il fine di tutelare quei lavoratori costretti a rimanere assenti dal lavoro poiché sottoposti alle misure di quarantena e di isolamento fiduciario equiparando detta assenza alla malattia ed escludendone la computabilità ai fini del periodo di comporto.
Alla luce di quanto sopra, secondo il Tribunale, nel caso di specie, non avrebbero dovuto essere computati, ai fini del superamento del periodo di comporto, sia i giorni di assenza disposti per quarantena che quelli disposti per isolamento dovuto all’accertamento della positività della lavoratrice al virus.
Si legge, infatti, nella sentenza che “la ratio della norma è quella di non far ricadere sul lavoratore le conseguenze dell’assenza dal lavoro che sia riconducibile causalmente alle misure di prevenzione e di contenimento previste dal legislatore e assunte con provvedimento dalle autorità al fine di limitare la diffusione del virus Covid-19, in tutte le ipotesi di possibile o acclarato contagio dal virus e a prescindere dallo stato di malattia, che – come ormai noto – può coesistere o meno con il contagio (caso dei positivi asintomatici)” Si continua poi a leggere nella sentenza che ”anche in caso di contagio con malattia, ciò che contraddistingue la malattia da Covid-19 dalle altre malattie è l’impossibilità, imposta autoritativamente, per il lavoratore di rendere la prestazione lavorativa e per il datore di lavoro di riceverla per i tempi normativamente e amministrativamente previsti, tempi che – ancora una volta – prescindono dall’evoluzione della malattia ma dipendono dalla mera positività o meno al virus”.
Su tali considerazioni il Tribunale ha accolto il ricorso della lavoratrice, annullando il licenziamento e disponendo (i) la sua reintegrazione nel posto di lavoro nonché (ii) il pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, e in ogni caso non superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre interessi e rivalutazione come per legge e oltre al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali.
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