La Corte di Cassazione, con ordinanza dello scorso 11 ottobre 2022, n. 29720, ha confermato che “qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva sia pure ridotta o limitata, rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore in conformità con l’articolo 2087 c.c.” rientra nella nozione di Dispositivo di Protezione Individuale (D.P.I.).
Una Società – datrice di lavoro – proponeva ricorso innanzi alla Corte di Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari che, confermando la decisione di primo grado, riconosceva il diritto del lavoratore al risarcimento dei danni per il mancato lavaggio, da parte della Società, degli indumenti da quest’ultimo utilizzati per rendere la prestazione lavorativa. In particolare, secondo i giudici di primo e secondo grado, il gilet ed il giubbotto frangente ad alta visibilità, il giubbotto impermeabile contro le intemperie, il pantalone da lavoro e i guanti di protezione sarebbero stati “tutti da considerare dispositivi di protezione individuale”.
Richiamando numerosi precedenti, i giudici di legittimità riconfermano che, in ragione del rilievo costituzionale del diritto alla salute nonché dei principi di correttezza e buona fede quali fondamenta del rapporto di lavoro, quanto previsto dall’articolo 2087 c.c. – ossia l’obbligo del datore di lavoro di predisporre tutte le misure idonee, secondo l’esperienza, la tecnica e la particolarità del lavoro, a prevenire situazioni di danno per la salute fisica e la personalità del lavoratore – deve essere interpretato in maniera estensiva.
Da ciò consegue, come si legge nell’ordinanza, che il datore di lavoro è tenuto sia a fornire i necessari indumenti ai propri lavoratori sia a prevenire l’insorgenza e il diffondersi di infezioni provvedendo anche al relativo lavaggio. Tale obbligo, infatti, diviene indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza rientrando, in tal modo, tra le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori ai sensi del citato articolo 2087 c.c.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso proposto dalla società condannando la ricorrente al pagamento delle spese.
L’orientamento della Cassazione
La pronuncia in esame – ultima in termini temporali – conferma un ormai consolidato orientamento degli Ermellini che chiariscono come la nozione legale di D.P.I. non debba essere limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi ma deve essere interpretata estensivamente ricomprendendo qualsiasi attrezzatura, accessorio o complemento che protegga, anche limitatamente ovvero in maniera ridotta, il lavoratore dai rischi ai quali è esposto nello svolgimento della prestazione lavorativa (in questo senso, come si legge nell’ordinanza in commento, Cass. n. 16749 del 2019; n. 17132 del 2019; n. 17354 del 2019; Cass. n. 5748 del 2020; Cass. n. 17100 del 2021).
Altri insights correlati: