La Corte di cassazione, con sentenza 16998 del 25 giugno 2019, è tornata ad analizzare la tematica degli effetti della sentenza di annullamento delle dimissioni ai fini delle retribuzioni maturate per il periodo intercorrente dalle dimissioni annullate alla sentenza.
La vicenda trae origine dalla domanda giudiziale di annullamento delle dimissioni proposta da un lavoratore, asserendo di aver agito in uno stato di incapacità di intendere e di volere.
In sede di giudizio di merito, le dimissioni sono state dapprima confermate in primo grado e in seguito annullate da ultimo dalla Corte di appello di Palermo che, accogliendo la domanda del lavoratore, ha sancito il diritto del lavoratore alle retribuzioni pregresse, con decorrenza dalla data della domanda giudiziale.
Ricorrendo in Cassazione contro la decisione, il datore di lavoro denunciando – tra gli altri motivi – erronea o falsa applicazione di un principio di diritto, rilevando che, non avendo il lavoratore reso la prestazione successivamente alle dimissioni poi impugnate, in punto di diritto i giudici di merito avrebbero dovuto limitare la condanna al trattamento retributivo unicamente al periodo successivo alla sentenza.
Oggetto principale della disamina di legittimità è dunque l’individuazione del momento dal quale far decorrere il diritto alle differenze retributive per il lavoratore.
Ripercorrendo lo stato degli orientamenti giurisprudenziali in materia la Corte ha evidenziato due correnti. Una prima, pacifica, secondo la quale ai fini dell’adempimento dell’obbligazione retributiva deve essere messa a disposizione la prestazione lavorativa e, solo eccezionalmente e in virtù di espressa previsione di legge (malattia o licenziamento ingiustificato in regime di tutela reale), può riconoscersi il pagamento della prima pur in assenza della seconda. Una seconda, oggetto di dibattito, inerente all’individuazione del momento a decorrere dal quale, una volta ottenuta una pronuncia giudiziale di annullamento delle dimissioni, spettino al lavoratore le differenze retributive maturate: se dalla domanda giudiziale (Cass. 14 aprile 2010, n. 8886, Cass. 13 febbraio 2019, n. 4232) o dalla data della sentenza (Cass. 17 ottobre 2014, n. 22063, Cass. 6 settembre 2018, n. 21701).
Con la pronuncia in esame, la Suprema corte ha avvalorato l’orientamento secondo cui il diritto alla retribuzione nasce dal momento della proposizione della domanda giudiziale di annullamento delle dimissioni – momento di impugnazione delle dimissioni e costituzione in mora credendi del datore di lavoro ex art. 1226 cod. civ. – stante il principio secondo cui la durata del processo non deve andare a detrimento della parte vincitrice.
In altre parole, nel caso di specie, il diritto al riconoscimento delle retribuzioni arretrate non può essere penalizzato dalla durata del processo, ciò anche allo scopo di evitare che il lavoratore si trovi esposto ad effetti indiretti ed indesiderati quali quelli di un possibile impiego dilatorio – da parte del datore di lavoro – dello strumento giudiziale.