Con la sentenza n. 6902 dell’8 marzo 2023 (che segue ulteriori due pronunce del medesimo tenore: Cass. n. 5788 e n. 5796, entrambe del 24 febbraio 2023), la Suprema Corte di Cassazione ha statuito che il dipendente ceduto, che vede giudizialmente ripristinato il rapporto di lavoro con il cedente, non ha diritto alla retribuzione per il periodo intercorrente tra la data di cessione del ramo di azienda e quella della pubblicazione del provvedimento giudiziale di illegittimità della suddetta cessione e può ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell’ingiustificato rifiuto del datore cedente di ricevere la prestazione soltanto a partire dal momento in cui abbia provveduto a costituirlo in mora.
Il fatto affrontato e il giudizio di merito
A seguito della cessione di un ramo d’azienda – successivamente dichiarata illegittima nell’ambito di un separato giudizio – un lavoratore trasferito conveniva in giudizio la società cedente, chiedendo la condanna di quest’ultima alla liquidazione del danno consistente nella differenza tra quanto il dipendente trasferito avrebbe percepito ove il trasferimento non fosse stato posto in essere e quanto, invece, percepito presso la cessionaria.
Nell’ambito del giudizio veniva accertato che la messa in mora della società cedente da parte del lavoratore ceduto interveniva solo successivamente alla sentenza che aveva dichiarato, con efficacia ex tunc, l’illegittimità la cessione.
La Corte d’Appello accoglieva la domanda del dipendente, accertando il diritto del lavoratore ceduto al risarcimento del danno subito in conseguenza della invalida cessione, per il periodo dalla data della cessione medesima e sino alla messa in mora.
La sentenza della Suprema Corte
La Società cedente proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza resa dalla Corte Territoriale, criticando la sentenza impugnata per aver riconosciuto importi a titolo di risarcimento danni anche per il periodo antecedente alla formale offerta della prestazione lavorativa da parte del dipendente trasferito.
La Cassazione – ribaltando quanto statuito dalla Corte d’Appello – ha rilevato che, nell’arco temporale intercorrente tra il passaggio alle dipendenze del cessionario e l’accertamento giudiziale della illegittimità della cessione, la mancanza della prestazione lavorativa in favore del cedente esclude il diritto a ricevere la retribuzione da parte del cedente.
Secondo i Giudici di legittimità, per tale periodo, il cedente può essere considerato responsabile solo del risarcimento degli eventuali danni commisurati alle mancate retribuzioni.
Il tutto, però, a condizione che il lavoratore ceduto abbia preventivamente provveduto a costituire in mora il datore di lavoro, con la messa a disposizione delle energie ovvero mediante intimazione di ricevere la prestazione.
Ed infatti – prosegue la Corte – soltanto a partire dal momento in cui il lavoratore abbia provveduto a costituire in mora il datore di lavoro cedente, lo stesso potrà ottenere, ai sensi dell’articolo 1217 cod. civ., il risarcimento del danno subito a causa dell’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla, detratto l’eventuale aliunde perceptum.
Su tali presupposti, la Suprema Corte ha pertanto accolto il ricorso promosso dalla società cedente, dichiarando non dovuto alcun risarcimento del danno a favore del lavoratore per il periodo intercorrente tra la cessione e la messa in mora della società cedente.c
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