Con l’ordinanza n. 87 del 3 gennaio 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata sull’applicabilità della tutela reintegratoria nei casi di insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo.
Al termine dei tre gradi di giudizio la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dalla dipendente licenziata cassando la sentenza della Corte d’Appello che aveva applicato la sola tutale indennitaria a favore della lavoratrice in misura pari a venti mensilità.
I fatti di causa
La vicenda trae origine da un licenziamento intimato da una società cooperativa ad una socia lavoratrice per giustificato motivo oggettivo, fondato sulla necessità di una riorganizzazione aziendale e sulla conseguente esternalizzazione delle attività di natura contabile (settore a cui la lavoratrice era addetta).
Il Tribunale di merito aveva accolto l’impugnazione della lavoratrice dichiarando illegittimo il licenziamento intimato.
L’adita Corte d’Appello di Catanzaro, concordando con il Tribunale di prime cure, rigettava il reclamo proposto dalla cooperativa datrice di lavoro, in quanto quest’ultima non avrebbe provato la sussistenza: (i) del nesso causale tra la riorganizzazione e la soppressione del posto di lavoro; (ii) della soppressione dell’area cui era precedentemente stata adibita la lavoratrice; (iii) dell’impossibilità della ricollocazione della lavoratrice.
Sulla base di tali presupposti, i giudici di merito avevano condannato il datore di lavoro a corrispondere alla lavoratrice un’indennità monetaria pari a 20 mensilità.
La lavoratrice proponeva quindi ricorso per Cassazione chiedendo l’applicazione della tutela reintegratoria ex art. 18, comma settimo, legge n.300/1970 (c.d. Statuto dei Lavoratori).
La sentenza della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso presentato dalla lavoratrice, ha ribadito come l’onere della prova circa la sussistenza dei presupposti del licenziamento per g.m.o. sia posto a carico del datore di lavoro che può far ricorso anche a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili (Cass. 20 ottobre 2017, n. 24882).
Con la pronuncia in commento, la Corte ha altresì affrontato il tema della manifesta insussistenza del fatto che giustifica, ai sensi dell’art. 18, settimo comma Statuto dei Lavoratori, come modificato dalla legge n. 92/2012, l’applicazione della tutela reintegratoria attenuata.
Secondo la Corte, la verifica circa la manifesta insussistenza del fatto deve prescindere dal carattere di evidenza immediata, “per essere stato l’art. 18, settimo comma, secondo periodo legge n. 300/1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, lett. b) legge n. 92/2012, dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., limitatamente alla parola “manifesta””.
La Cassazione, pur concordando con la pronuncia della Corte d’Appello di Catanzaro circa l’inesistenza del “riassetto organizzativo posto a fondamento del licenziamento” nonché sull’assenza di prova dell’impossibilità di assolvere all’obbligo di repêchage e pertanto sull’insussistenza, nel caso di specie, del giustificato motivo oggettivo addotto alla base del licenziamento, ha censurato l’applicazione della tutela indennitaria per aver la Corte di merito disatteso superiori principi di diritto alla luce delle ultime pronunce in merito al requisito della “manifesta” insussistenza.
In sintesi, per la Corte di Cassazione, qualora non sussista un nesso causale tra recesso datoriale e giustificato motivo oggettivo addotto a suo fondamento, si integra la manifesta insussistenza del fatto che, come tale, giustifica la condanna del datore di lavoro alla reintegra del dipendente.