La Corte di Cassazione, con la sentenza del 25 luglio 2018 n. 19732, ha ribadito che nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la scelta del dipendente, o dei dipendenti, da licenziare non è totalmente libera per il datore di lavoro. Essa, infatti, risulta limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole della correttezza e buona fede cui deve essere informato, ai sensi degli artt. 1175 e 1675 cod. civ., ogni comportamento delle parti nell’ambito di un rapporto obbligatorio e, quindi, anche in caso di recesso di una di esse. Sul punto la Corte ha osservato che la stessa giurisprudenza di legittimità si è posta il problema di individuare in concreto i criteri obiettivi che consentono di ritenere la scelta conforme a detti principi, ritenendo che possa farsi riferimento, pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri di cui alla Legge 223/1991 in tema di licenziamenti collettivi. Quindi, in via analogica, ai criteri dei carichi di famiglia e dell’anzianità di servizio stabiliti nell’ambito di tali licenziamenti. Detti criteri consentono, peraltro, al datore di lavoro di esercitare il suo, unilaterale, potere selettivo coerentemente con gli interessi del lavoratore e con quelli dell’azienda. Da ciò ne consegue che, tra più lavoratori occupati in posizione di piena fungibilità ed a fronte dell’esigenza, derivante da ragioni inerenti all’attività produttiva, di ridurre di una o più unità la forza lavoro, occorre rispettare i principi summenzionati di correttezza e buona fede. Con riferimento poi al regime sanzionatorio applicabile qualora ci si discosti da questo principio di diritto, la Suprema Corte ricorda che il regime introdotto dalla Legge n. 92/2012 (cd. Legge Fornero) prevede di regola la corresponsione di una indennità risarcitoria, compresa tra un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità, riservando il ripristino del rapporto di lavoro, con un risarcimento fino ad un massimo di 12 mensilità, alle ipotesi residuali che fungono da eccezione, nelle quali l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento è connotato da particolare evidenza. Pertanto la violazione dei principi di correttezza e buona fede nella scelta tra lavoratori adibiti allo svolgimento di mansioni omogenee, secondo la Corte di Cassazione, dà luogo alla tutela indennitaria di cui al comma 5 dell’articolo 18, non integrando l’ipotesi della “manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo” contemplata dall’articolo 18, comma 7, L. 300/70, quale presupposto per la concessione della tutela reintegratoria.