La Corte di Cassazione, con la sentenza 21357 del 20 agosto 2019, ha affermato che una azienda non può recedere unilateralmente dal contratto collettivo sottoscritto dall’associazione datoriale cui aderiva prima della sua scadenza. Ciò, quand’anche detto contratto sia divenuto nel tempo troppo oneroso.
I fatti
La Corte d’Appello di Torino confermava la decisione di primo grado laddove aveva respinto l’opposizione della Federazione Italiana Lavoratori Chimica Tessile Energia Manifatture FILCTEM – CGIL Provinciale di Torino e la riconvenzionale della società datrice di lavoro avverso il suddetto decreto che aveva dichiarato il carattere antisindacale della sua condotta. Condotta questa che era consistita nel non avere informato ed interpellato il sindacato FILCTEM in merito alle trattative sfociate nell’accordo del 13 dicembre 2011, comportante l’estensione a tutti i dipendenti del contratto collettivo del 29 dicembre 2011 nella sua stesura definitiva, concluso con FIM CISL, UILM, FISMIC, UGL ed Associazione Quadri e Capi Fiat.
La Corte distrettuale, negando la dedotta antisindacalità, confermava la legittimità della stipula di un nuovo contratto collettivo con le 00.SS. in tutto o in parte diverse (anche per settore – metalmeccanico) da quelle che avevano stipulato il precedente. Nel decidere in tal senso la Corte d’Appello aveva richiamato una pronuncia della Suprema Corte, secondo la quale non esiste nell’ordinamento un obbligo a carico del datore di trattare e stipulare contratti collettivi con tutte le 00.SS., rientrando nell’autonomia negoziale la possibilità di sottoscrivere un nuovo contratto collettivo con 00.SS. anche diverse da quelle che avevano trattato e sottoscritto il precedente.
L’addotta ragione della stipulazione del diverso contratto risiedeva nella circostanza che in otto stabilimenti su tredici era applicato il CCNL settore metalmeccanico anche prima del 1° gennaio 2012, cui si aggiungeva il dato che la maggioranza delle 27 RSU dei 5 stabilimenti nei quali veniva applicato il CCNL settore gomma – plastica non era riconducibile alla FILCTEM – CGIL, così come la maggioranza delle 58 RSU di tutti gli stabilimenti.
Avverso tale decisione ricorreva in Cassazione la FILCETEM, affidando l’impugnazione ad un unico motivo cui ha resistito la società con controricorso.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso della FILCETEM, ha richiamato un consolidato orientamento secondo cui “nel contratto collettivo di lavoro la possibilità di disdetta spetta unicamente alle parti stipulanti, ossia alle associazioni sindacali e datoriali che di norma provvedono anche a disciplinare le conseguenze della disdetta; al singolo datore di lavoro, pertanto, non è consentito recedere unilateralmente dal contratto collettivo, neppure adducendo l’eccessiva onerosità dello stesso, ai sensi dell’art. 1467 c.c., conseguente ad una propria situazione di difficoltà economica, salva l’ipotesi di contratti aziendali stipulati dal singolo datore di lavoro con sindacati locali dei lavoratori” (cfr. Cass. 8994/2011, Cass. 3296/2002, e Cass. 15863/2002 richiamate da Cass. 25062/2013). Pertanto “non è legittima la disdetta unilaterale da parte del datore di lavoro del contratto applicato seppure accompagnata da un congruo termine di preavviso. Solo al momento della scadenza contrattuale sarà possibile recedere dal contratto ed applicarne uno diverso a condizione che ne ricorrano i presupposti di cui all’art. 2069 c.c.” (cfr Cass. 25062/2013).
Va riconosciuta al datore di lavoro la facoltà di recedere da un contratto collettivo di diritto comune stipulato a tempo indeterminato e senza predeterminazione del termine di scadenza, atteso che il contratto stesso non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti. In caso contrario verrebbe vanificata la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve essere parametrata su una realtà socio-economica in continua evoluzione. Resta inteso che il recesso deve essere esercitato nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto e non devono essere lesi i diritti intangibili dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole ed entrati in via definitiva nel loro patrimonio (cfr Cass. 25 febbraio 1997, n. 1694; Cass. 18 ottobre 2002, n. 14827; Cass. 20 settembre 2005, n. 18508; Cass. 20 dicembre 2006, n. 27198; Cass. 20 agosto 2009, n. 18548; Cass. 28 ottobre 2013, n. 24268). Non esiste, invece, una analoga facoltà di recesso anticipato per gli accordi collettivi aventi una durata predeterminata.
In considerazione di quanto sopra esposto, ad avviso della Suprema Corte, non può essere ammessa l’applicazione di nuovo CCNL prima della prevista scadenza di quello in corso di applicazione, che le parti si sono impegnate a rispettare.
In questo contesto, secondo la Corte di Cassazione, non può essere neanche accolta la tesi della società che un eventuale contratto di secondo livello può dare al datore di lavoro il potere di recedere anticipatamente da un contratto collettivo di livello superiore.
Orbene, la Cassazione ha cassato la sentenza e rinviato la causa al tribunale di Torino, in diversa composizione, che provvederà al nuovo esame sulla base di quanto dalla stessa evidenziato.