Due recenti interventi, uno della Corte di Cassazione (sentenza n. 23933/2010), l’altro del Ministero del Lavoro (circolare n. 1 del 2 febbraio 2011), hanno contribuito a chiarire le condizioni di applicazione dell’istituto del distacco regolato dall’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003. Nello specifico, secondo la pronuncia della Suprema Corte, il requisito della temporaneità del distacco non va confuso con quello della brevità: in sostanza, la destinazione del lavoratore a prestare la propria attività in favore di un terzo, non è vincolata ad una durata predeterminata fin dall’inizio, né al fatto che questa sia più o meno lunga. Il vincolo di legittimità risiede esclusivamente nella sussistenza, per tutta la durata, dell’interesse del distaccante a che il proprio dipendente presti la sua opera a favore del distaccatario. La “non definitività” va, infatti, riferita alla durata dell’interesse del datore di lavoro distaccante che deve essere valutato in relazione al concreto espletamento dell’attività e che non deve coincidere con la mera somministrazione di manodopera. La circolare del Ministero del Lavoro ha, invece, specificato che il luogo di lavoro del lavoratore distaccato non deve necessariamente coincidere con quello dell’impresa distaccataria, non costituendo un elemento indispensabile a valutare la corretta applicazione dell’istituto. Stante la sussistenza dei requisiti necessari per effettuare il distacco (anche all’interno di gruppi societari) il datore di lavoro potrà, pertanto, legittimamente procedere a comandare ad un lavoratore di svolgere la propria attività in un luogo diverso dalla sede dell’impresa distaccataria così come in più luoghi diversi (es. prestazioni di trasporto che richiedano l’effettuazione di trasferte).