La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19557 del 30 settembre 2016, ha affermato che in presenza di una società straniera con sede secondaria in Italia si computano – ai fini della sussistenza o meno del requisito dimensionale per far luogo all’applicazione dell’art. 18 della Legge n. 300/1970 in caso di licenziamento illegittimo – solo i lavoratori occupati nel territorio nazionale e non il numero complessivo di tutti i dipendenti occupati anche in altri paesi in cui la stessa è presente. Nel caso di specie una dipendente di una società olandese, licenziata per giustificato motivo oggettivo, adiva l’autorità giudiziaria perché venisse dichiarata l’illegittimità del recesso datoriale, con conseguente applicazione della tutela ex art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, dovendosi considerare nella base occupazionale tanto i lavoratori occupati in Italia quanto quelli occupati in Olanda. La Suprema Corte, partendo da due opposti orientamenti, è arrivata alla conclusione che la sede secondaria o branch di una società estera, anche se, dal punto di vista societario, non ha una personalità giuridica autonoma rispetto alla casa-madre, soggiace comunque alla legge italiana come se fosse stata costituita in Italia per quanto concerne il requisito occupazionale. Ciò in quanto lo stesso art. 18 dello Statuto dei Lavoratori postula parametri territoriali e nazionali. Orbene se la casa madre ha una o più filiali in Italia, è solo con riguardo ad esse che bisogna calcolare il totale dei dipendenti per l’applicabilità o meno del regime di stabilità reale.