La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22188 depositata lo scorso 18 settembre, si è pronunciata in merito alla validità di un contratto a tempo determinato stipulato allorquando la relativa disciplina presupponeva l’attivazione del rapporto di lavoro solo a fronte di specifiche ragioni “di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Nel caso in esame il rapporto di lavoro a termine era assoggettato alla disciplina dell’allora vigente D.Lgs. n. 368/2001 poi superata dal Decreto Legge n. 34/2014 (cd. Decreto Poletti), convertito nella legge n. 78/2014. Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha avuto occasione di ribadire che la validità di un contratto a termine presuppone la specifica e puntuale indicazione di tutte le circostanze utili a comprovare la sussistenza di un’oggettiva esigenza aziendale posta alla base del contratto. Tuttavia, oltre l’analitica ed esaustiva indicazione delle ragioni, è necessario che il lavoratore venga, sul piano operativo, effettivamente adibito alle mansioni che permettono di soddisfare la causale indicata. Tale ultimo requisito, a parere della Corte di Cassazione, difettava nel caso di specie essendo stata la lavoratrice adibita a mansioni non direttamente afferenti al progetto che costituiva oggetto della causale bensì allo svolgimento di attività ordinarie evidentemente estranee al progetto. In conclusione, la vicenda in esame, seppur disciplinata da una disposizione non più in vigore, diviene più che mai attuale considerata la reintroduzione del meccanismo delle causali ad opera del Decreto Legge n. 87/2018, convertito nella Legge n. 96/2018 (cd “Decreto Dignità”). Pertanto, le “nuove” causali (ndr. condizioni), oltre a dover essere riportate compiutamente nel contratto, dovranno ritrovare effettività sul piano sostanziale dovendo il lavoratore essere adibito alle attività ricomprese nelle dedotte esigenze aziendali.