La Corte di Cassazione, con sentenza n. 20761 del 17 agosto 2018, è tornata ad occuparsi della fattispecie del licenziamento per superamento del periodo di comporto, confermando il proprio orientamento sui potenziali vizi formali che potrebbero inficiarne la validità. La pronuncia prende le mosse dal giudizio d’impugnazione promosso da un lavoratore contro il licenziamento intimatogli per superamento del periodo di comporto, la cui legittimità era già stata confermata in entrambi i giudizi di merito. Tra le ragioni poste a fondamento del ricorso, il lavoratore aveva denunciato la falsa applicazione delle norme applicabili, avendo omesso il datore di lavoro di informarlo dell’approssimarsi del termine del periodo di comporto. Mancanza questa che, a suo dire, gli avrebbe impedito di esercitare il diritto – riconosciuto dalla contrattazione collettiva – di richiedere un periodo di aspettativa non retribuita superato tale termine. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento, precisando e ribadendo che non è ipotizzabile un obbligo per il datore di lavoro di segnalare al lavoratore l’imminente scadenza del comporto e che un simile onere non sarebbe individuabile estensivamente neppure in base ai principi di correttezza e buona fede. La Corte ha infatti rilevato come tale tipo di comunicazione “servirebbe in realtà a consentire al dipendente di porre in essere iniziative, quali richieste di ferie o aspettativa, sostanzialmente elusive dell’accertamento della sua inidoneità ad adempiere l’obbligazione” ciò essendo sufficiente ad escludere siffatto obbligo di informazione. La Corte di Cassazione ha, quindi, colto l’occasione per ribadire il proprio orientamento anche in relazione ad altri profili afferenti tale tipologia di licenziamento. Infatti, da un lato, la Corte di Cassazione ha sottolineato che anche le domeniche e i giorni festivi non coperti da certificato medico, ma compresi tra periodi di malattia distinti, vadano computati ai fini del calcolo del comporto, salvo che sia fornita prova dell’effettiva interruzione della malattia in tali giornate. Per altro verso, la Corte di Cassazione ha osservato che l’obbligo di comunicare i motivi contestualmente al licenziamento per superamento del periodo di comporto, non richiede l’indicazione delle singole assenze, ritenendosi sufficiente – come accaduto nel caso di specie – l’indicazione della durata complessiva delle assenze. Il recesso per superamento del periodo di comporto non è, infatti, assimilabile ad un licenziamento per giusta causa e, quindi, solo impropriamente si può parlare, con riguardo ad esso, di contestazione delle assenze. Il datore di lavoro può, a parere della Corte di Cassazione, indicare il numero totale delle assenze verifcatesi in determinato arco temporale, fermo restando l’onere, in un eventuale giudizio, a carico dello stesso di allegare e provare i fatti costitutivi del potere esercitato.