Il Tribunale territorialmente competente, con sentenza n. 106/2019 pubblicata in data 3 febbraio 2020, ha affermato che l’esistenza dei certificati A1 crea una presunzione di regolarità contributiva del lavoratore distaccato.
I fatti
Una Compagnia aerea avente sede legale fuori dal territorio italiano ha adito in giudizio l’Istituto nazionale di previdenza sociale italiano (“INPS”), in quanto destinataria di un verbale unico di accertamento ispettivo con cui le veniva contestato il mancato pagamento dei contributi previdenziali in Italia di 31 dipendenti.
In particolare, l’INPS, richiamando il principio della lex loci laboris per il quale i lavoratori occupati nel territorio di uno Stato membro devono essere soggetti alla legislazione di tale stato, ha eccepito che:
- la Compagnia aerea possiede una propria base operativa presso la sede di un Aeroporto ubicato in Italia;
- i lavoratori distaccati presso detto Aeroporto risiedono e hanno sempre risieduto stabilmente in Italia;
- nei contratti di lavoro del personale distaccato è indicato il locale italiano dell’Aeroporto nonché l’orario di lavoro del suddetto personale. Secondo l’INPS in questo contesto risulta irrilevante il rilascio dei modelli A1 da parte dell’Autorità del Pese in cui ha sede la Compagnia aerea.
La decisione del Tribunale
Il Tribunale investito della causa ha accolto il ricorso della Compagnia area, dando seguito alla giurisprudenza comunitaria dalla stessa prodotta secondo cui: l’esistenza dei certificati A1 crea una presunzione di regolarità contributiva del lavoratore distaccato (Corte di Giustizia C-202/97). Secondo la Corte di Giustizia, inoltre, il certificato A1 (ex E 101) è vincolante per l’ente competente dello Stato membro in cui gli stessi lavoratori sono distaccati. Una soluzione contraria, prosegue la Corte di Giustizia, potrebbe, infatti, pregiudicare il principio dell’iscrizione dei lavoratori subordinati ad un unico regime previdenziale, come pure la prevedibilità del regime applicabile e, quindi, la certezza del diritto.
Il Giudice, nell’argomentare la sua decisione, prosegue richiamando il Regolamento (CE) n. 883/2004 del 29 aprile 2004, il quale all’art. 12 dispone che “la persona che esercita un’attività subordinata in uno Stato membro per conto di un datore di lavoro che vi esercita abitualmente le sue attività ed è da questo distaccata in un altro Stato Membro, rimane soggetta alla legislazione del primo stato membro a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i 24 mesi e che esse non sia inviata in sostituzione di un’altra persona”.
L’ulteriore Regolamento (CE) n. 987/2009 del 16 settembre 2009, richiamato anch’esso dal Giudice adito, dispone, altresì, che in caso di dubbio sulla validità dei certificati A1, l’istituto previdenziale dello Stato membro destinatario del documento deve chiedere direttamente all’istituzione emittente il certificato i chiarimenti necessari e, se del caso, il ritiro del certificato stesso.
Sulla base delle richiamate disposizione Europee, pertanto, il Giudice investito di tale complessa questione, conclude le proprie motivazioni affermando che:
(i) l’INPS non ha competenza per pronunciarsi sulla validità o meno dei certificati A1 e
(ii) l’unico strumento riconosciuto all’ente previdenziale è la procedura di dialogo e conciliazione, in base alla quale lo stesso avrebbe dovuto rivolgersi previamente all’Autorità del Paese estero per metterla in condizioni di valutare la correttezza dei formulari A1 rilasciati. Nel caso di mancato accordo, l’INPS avrebbe dovuto investire della questione la Commissione amministrativa comunitaria e che, a dispetto dei formulari, ha comunque provveduto ad addebitare la contribuzione omessa in Italia.
In considerazione di quanto sopra esposto il Giudice di prime cure ha dichiarato infondata la pretesa creditoria azionata dall’INPS, compensando le spese del giudizio.