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Riders, per Italia e Spagna sono lavoratori subordinati (Guida al Lavoro de Il Sole 24 Ore, 28 febbraio 2020 – Vittorio De Luca, Antonella Iacobellis)

Categorie: DLP Insights, Pubblicazioni | Tag: Riders, lavoratori subordinati

28 Feb 2020

Con la sentenza n. 1663 del 24 gennaio 2020, la Corte di Cassazione ha affermato che si applicano le norme sul lavoro subordinato, nella loro complessità, a quei lavoratori che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore, attraverso piattaforme anche digitali. Stiamo parlando dei cosiddetti riders.

I Giudici della Suprema Corte hanno evidenziato come sia improprio parlare di “tertium genus” tra collaborazioni coordinate ex art. 409, comma 3, c.p.c. e rapporti di lavoro subordinato.

Nella ricerca della definizione della natura del rapporto tra i riders e le società di consegna, la Suprema Corte ha ritenuto necessario verificare se la prestazione offerta dai riders, presenta gli elementi dettati dall’art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015: una prestazione di lavoro prevalentemente personale e continuativa, le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente.

La Corte ha in questa ricerca, così, rilevato:

  • da un lato, la penale a cui è soggetto il rider, dando peso all’impegno del lavoratore una volta candidatosi per la corsa: è tenuto “ad effettuare la consegna tassativamente entro 30 minuti dall’orario indicato per il ritiro del cibo, sotto comminatoria di una penale”,
  • dall’altro, gli obblighi a cui il rider sarebbe soggetto, dando peso alle modalità di esecuzione della prestazione, in particolare: “all’obbligo per ciascun rider di recarsi all’orario di inizio del turno in una delle zone di partenza predefinite e di attivare l’applicativo Hurrier, inserendo le credenziali e avviando la geolocalizzazione; all’obbligo, ricevuta sulla applicazione la notifica dell’ordine con indicazione dell’indirizzo del ristorante, di recarsi ivi con la propria bicicletta, prendere in consegna i prodotti, controllarne la corrispondenza con l’ordine e comunicare tramite apposito comando della applicazione il buon esito dell’operazione; all’obbligo di consegna del cibo al cliente, del cui indirizzo il rider ha ricevuto comunicazione sempre tramite applicazione, e di conferma della regolare consegna”.

Svolta l’analisi, sul punto, la pronuncia degli ermellini è tranchant ravvisando che il profilo di autonomia del rider è “integro [n.d.r. soltanto] nella fase genetica dell’accordo (per la rilevata facoltà del lavoratore ad obbligarsi o meno alla prestazione), ma non nella fase funzionale, di esecuzione del rapporto, relativamente alle modalità di prestazione determinate in modo sostanziale da una piattaforma multimediale e da un applicativo per smartphone”.

Peraltro, nello stesso provvedimento la Suprema Corte sottolinea che la congiunzione “anche” presente nel co. 1 art. 2 D. Lgs. n. 81/15[1] con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro non dimostrerebbe che le tutele del lavoro subordinato richiedano oltre ad una semplice etero-determinazione della prestazione, anche un’ingerenza più pregnante del committente nello svolgimento del rapporto di lavoro.

Secondo la Corte, infatti, “il riferimento ai tempi e al luogo di lavoro esprime solo una possibile estrinsecazione del potere di etero-organizzazione, con la parola “anche” che assume valore esemplificativo”.  

La congiunzione “anche” non è tesa, quindi, a rendere più stringente la possibilità di applicare la disciplina della subordinazione a quei rapporti, che nell’attualità della rivoluzione informatica, vedono sempre meno dirimente il fattore “modalità spazio-temporale di svolgimento del rapporto di lavoro” nell’individuazione della disciplina da applicare, se quella del rapporto di lavoro autonomo o subordinato.

Ciò sarebbe in linea con la ratio sottesa alla scelta normativa del Legislatore nel 2015 che era soprattutto quella di assicurare una tutela più importante alle forme di collaborazione aventi le caratteristiche appena dettagliate, peraltro confermata dal legislatore del 2019, che è giunto esplicitamente a sostenere che le collaborazioni possano essere prevalentemente (e non più “esclusivamente”) personali, continuative e organizzate mediante piattaforme, anche digitali, eliminando del tutto, l’appena discusso, riferimento alla determinazione, da parte del committente, dei tempi e del luogo di lavoro.

Il caso sottoposto alla Cassazione evidenzia come sempre più spesso la giurisprudenza si trovi a dover applicare la disciplina del legislatore che, per quanto – come nel caso italiano – sia stata recentemente riformata, fatica a comprendere i casi che, con la digital transformation in corso, la realtà economica sottopone al vaglio dei tribunali.

A ben vedere il problema non è soltanto italiano, ma per esempio sul caso dei riders, la tematica sta interessando i tribunali a tutte le latitudini del mondo.

Al riguardo, è appena stata emessa la sentenza del Tribunal Superior di Madrid che il 17 gennaio 2020 che ha accolto il ricorso dell’ispettorato del lavoro e dell’ente previdenziale spagnoli e, rigettando così ogni domanda di Roofoods Spain SL, ha stabilito che i riders Roofoods Spain SL devono essere considerati lavoratori dipendenti e quindi falsi lavoratori autonomi.

Continua qui a leggere la versione integrale pubblicata su Guida al lavoro de Il Sole 24 ore.


[1] Così testualmente, nella versione ante intervento del 2019: “A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.”.

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