Vittorio De Luca: “La Corte Costituzionale elimina un elemento centrale della riforma Renzi: l’automatismo tra anzianità di servizio e ristoro dovuto. Per l’azienda il costo dell’uscita diventa imprevedibile”
La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la parte della riforma messa a punto dal Governo Renzi, cd. Jobs Act, che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato. In particolare, secondo la Corte, la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è “contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro” sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione.
Vittorio De Luca, managing partner di De Luca & Partners, studio di giuslavoristi con sede a Milano, che tra le altre cose negli scorsi anni ha collaborato alla redazione della guida “Doing Business in Italy” a cura dell’Ice, spiega come non si tratti di un intervento di poco conto. “In attesa di farci un’idea più chiara quando sarà pubblicata la sentenza, si può già dire che viene meno un elemento centrale del Jobs Act: l’automatismo tra anzianità di servizio e indennità spettante”. Con la decisione della Consulta, sottolinea il giuslavorista, “viene rimessa al giudice ampia discrezionalità nel decidere quale indennità spetta al lavoratore, per cui si potrebbe arrivare sin da subito a corrispondere l’indennità massima anche a chi era in azienda da poco”. Al di là delle ipotesi estreme, De Luca constata come vi sia un aumento della discrezionalità per il giudice “anche superiore a quanto previsto dall’art.18, come riformato nel 2012 (dalla riforma Fornero, ndr)”. La situazione è paradossale se si considera che il Jobs Act mirava proprio ad eliminare la discrezionalità dei tribunali nella determinazione delle indennità spettanti ai lavoratori nel caso di licenziamento illegittimo.
La portata di tale pronuncia risulta inoltre amplificata dall’intervento legislativo di quest’estate (il cd. decreto Dignità), con cui si sono modificati, inter alia, i parametri dell’indennità di licenziamento.
In effetti, con il decreto Dignità varato dal nuovo Governo – oltre a rilevanti modifiche normative in materia di contratti a tempo determinato – si è innalzata l’indennità di cui beneficia il lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. “La soglia minima viene elevata dai quattro a sei mesi di stipendio”, spiega De Luca. “L’indennità massima fissata dal Jobs Act in 24 mesi passa a 36 mesi”. Tale modifica, relativa all’indennità massima, che avrebbe avuto un effetto pratico solo a partire dal 2033 alla luce del criterio dell’anzianità, con la pronuncia della Consulta avrà immediata incidenza: il giudice potrà decidere di applicare, fin da subito e discrezionalmente, un’indennità di un importo tra 6 e 36 mensilità a prescindere dall’anzianità di servizio, facendo così venir meno la prevedibilità del costo del licenziamento.
“Se c’è una costante nel nostro Paese è l’evoluzione continua della cornice che regola i rapporti di lavoro”, osserva De Luca sottolineando come “cambiamenti repentini e rilevanti di certo non aiutano a creare le condizioni per consentire alle imprese di operare in un quadro normativo chiaro e tale da consentire di prevedere i costi delle singole decisioni”.
A fronte di un quadro meno prevedibile tanto per il datore, quanto per il lavoratore, De Luca vede uno scenario ben delineato: “Aspettiamoci un aumento del contenzioso ed una maggiore difficoltà nel prevedere i relativi costi”.