Il Tribunale di Trento, con la sentenza n. 86 del 2020, ha riaperto la questione della c.d. “doppia retribuzione” dei lavoratori il cui rapporto di lavoro cambia titolarità come effetto di un atto di cessione di azienda, qualora il trasferimento sia dichiarato illegittimo. Sul punto si sono susseguiti nel tempo orientamenti giurisprudenziali contrastanti.
Secondo una recente pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza n. 9093/2020) nel caso sopra rappresentato deve essere riconosciuta al lavoratore una doppia retribuzione; pertanto, il datore di lavoro cedente non potrebbe detrarre dagli emolumenti dovuti per il passato quanto lo stesso lavoratore abbia percepito, a titolo di retribuzione, per l’attività prestata in favore dell’”ex cessionario”.
Il Tribunale di Trento, discostandosi da tale orientamento, esclude che il lavoratore, a seguito dell’annullamento del trasferimento di azienda, possa essere parte di due prestazioni (una «prestazione materiale» nei confronti del già cessionario, e una «prestazione giuridica» nei confronti del già cedente che nasce come effetto della sentenza). In tal caso, infatti, i due rapporti di lavoro hanno per oggetto la medesima prestazione lavorativa e, conseguentemente, la medesima controprestazione retributiva, sebbene diversa sia la fonte giuridica dell’obbligazione di cui costituisce oggetto.
A fronte di tali premesse, il giudice di merito ha stabilito che se un trasferimento di azienda viene dichiarato illegittimo, il lavoratore che torna alle dipendenze del cedente non può chiedere il pagamento delle retribuzioni che avrebbe percepito nel lasso di tempo intercorrente dalla cessione alla sentenza se durante tale periodo ha comunque percepito la retribuzione dal cessionario.