La Corte di Cassazione, con la sentenza 21390 depositata il 14 agosto 2019, ha affermato che un accordo aziendale sottoscritto per far fronte a un temporaneo aumento dell’attività non scade se non esplicitamente previsto e può essere riutilizzato successivamente.
I fatti
La Corte d’Appello territorialmente competente confermava la decisione del Giudice di prime cure che aveva respinto la domanda presentata da un lavoratore nei confronti della società datrice di lavoro affinché venisse accertata l’irregolarità del contratto di somministrazione e del contratto a tempo determinato (più volte prorogato nel 2010) intercorsi tra essi. Detti contratti avevano avuto ad oggetto lo “svolgimento di attività di assistenza (handling) presso l’aeroscalo di (OMISSIS) per l’operatività programmata nel periodo di durata del rapporto, delle Compagnie Aeree che stavano avviando ed in parte consolidando la loro attività presso lo scalo”.
Nello specifico, la Corte d’Appello affermava che “il contratto di somministrazione era stato stipulato per la necessità di far fronte all’incremento temporaneo di attività derivate dal progetto “Voli Postali” espressamente richiamata nell’accordo sindacale del 6/12/2006 con cui le parti sociali avevano definito a tale scopo, la necessità di ricorrere ai contratti a tempo determinato e di somministrazione e le modalità di realizzazione degli incrementi di personale concordati. In tale ottica, la causale apposta ai contratti a termine doveva ritenersi assistita da un grado sufficiente di specificità. Le ragioni giustificatrici relative alla realizzazione del progetto Poste, rinvenivano poi, positivo riscontro alla stregua dell’accordo sindacale 6/12/2006 in relazione al quale non era stata fissata alcuna scadenza, sicché non poteva ritenersi detto accordo automaticamente cessato, come sostenuto dal ricorrente, al compimento del 36 mese dalla stipula (aprile 2010)”.
Avverso tale decisione il lavoratore proponeva ricorso in cassazione, affidandosi a 2 motivi, cui resisteva la società con un controricorso.
La decisione della Corte di Cassazione
Il lavoratore ha contestato, tra l’altro, la sentenza impugnata per aver attribuito validità all’Accordo sindacale del 6 dicembre 2006. Ciò, conferendogli una durata temporale indefinita e consentendo un utilizzo illimitato nel tempo del contratto a tempo determinato anche somministrato, per far fronte alle stesse attività aziendali relative ai voli postali, che il medesimo accordo, aveva limitato temporalmente a 2 anni e 12 mesi.
Sul punto la Corte di Cassazione ha osservato che i giudici del gravame hanno sottolineato come “l’Accordo del 6/12/2006 fosse intervenuto nelle fasi di avvio dell’attività dei Voli Postali e con esso le parti collettive si erano date atto che tale attività comportava la necessità di assunzioni a termine in relazione al contratto di appalto stipulato con la società Poste Italiane, concordando le modalità con cui procedere ad assunzioni a termine o a contratti di somministrazione; e ciò senza fissare alcuna scadenza, neppure in via indiretta, sicché non poteva ritenersi automaticamente cessato nell’aprile 2010, al compimento dei 36 mesi dalla stipula dell’accordo, come sostenuto dal lavoratore”.
A parere della Corte di Cassazione, i giudici di appello hanno considerato che, una volta rinnovato l’appalto con Poste italiane, si riproponeva l’esigenza della società di ricorrere all’incremento temporaneo di personale. Nell’ottica descritta, hanno concluso che l’accordo del 2006, sebbene stipulato in occasione del primo contratto di appalto, conservava la sua idoneità a confermare che le medesime esigenze di assunzioni già positivamente vagliate dalle OO.SS. permanevano anche in occasione dei successivi contratti.
In considerazione di quanto sopra esposto la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del lavoratore, liquidando le spese di lite secondo il principio della soccombenza.
Al fine di agevolare i datori di lavoro nella presentazione delle richieste di rilascio del Modello A1, l’INPS ha realizzato una nuova procedura finalizzata ad informatizzare l’iter procedurale previsto per l’emissione di tale certificazione. Il documento portatile A1 viene rilasciato per attestare legislazione di sicurezza sociale applicabile al lavoratore, titolare del modello, nei casi in cui lo stesso svolga un’attività lavorativa in uno o più Stati che applicano la regolamentazione comunitaria. Dal 1° settembre 2019 le domande di rilascio del modello A1 devono essere presentate esclusivamente in via telematica. Per tutte le domande approvate verrà prodotta la certificazione A1 da rilasciare al lavoratore. L’applicazione, per ogni domanda accolta con numero di protocollo in uscita valorizzato, permette di scaricare in formato PDF la certificazione A1 che sarà memorizzata nell’applicazione. Il richiedente, oltre a poter visualizzare l’esito nel cruscotto web a lui dedicato, sarà avvisato dell’avvenuta definizione della domanda via e-mail e/o via sms rispettivamente all’indirizzo e al numero di telefono mobile indicati nella domanda (se presenti). Una copia del documento portatile A1 verrà trasmessa al richiedente via PEC o via e-mail. Qualora su richiesta dell’Istituzione estera si renda necessario acquisire il documento portatile A1 in formato originale, la certificazione sarà disponibile per il ritiro presso la Struttura territoriale INPS di competenza.
Con Provvedimento 157 del 30 luglio 2019, che sostituisce integralmente tutti i precedenti provvedimenti in materia, il Garante per la protezione dei dati personali ha fornito il modello per la segnalazione degli incidenti informatici.
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Inoltre, se la violazione comporta un rischio elevato per i diritti delle persone, il titolare deve comunicarla a tutti gli interessati, utilizzando i canali più idonei, a meno che abbia già preso misure tali da ridurne l’impatto.
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In caso di violazione delle procedure di notifica si applica una sanzione pecuniaria che può arrivare fino a 10 milioni di euro oppure, nel caso di imprese, fino al 2% del fatturato annuo totale mondiale.
È terminata la procedura di revisione delle 9 Autorizzazioni Generali rilasciate dal Garante privacy nel 2016 quando era in vigore la precedente normativa, alla luce del Regolamento UE in materia di protezione dei dati personali 2016/679 (“GDPR”).
A conclusione della consultazione pubblica avviata lo scorso dicembre, il Garante ha adottato il Provvedimento 146 del 5 giugno 2019, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del successivo 30 luglio, contenente gli obblighi che debbono essere rispettati, in diversi settori per poter trattare particolari categorie di dati personali (ad es. dati attinenti allo stato di salute, all’orientamento sessuale, dati genetici e biometrici).
Le prescrizioni riguardano il trattamento:
Il Provvedimento è stato adottato in base al D.Lgs. 101/2018 recante disposizioni di adeguamento dell’ordinamento nazionale al GDPR, tenuto anche conto dei contributi maggiormente significativi e pertinenti inviati dai partecipanti alla consultazione pubblica.
Nello stesso Provvedimento il Garante ha precisato che l’Autorizzazione Generale sul trattamento dei dati giudiziari da parte di privati, enti pubblici economici e soggetti pubblici cessa di produrre i propri effetti, non rientrando tra le situazioni di trattamento richiamate dell’art. 21 del D.Lgs. 101/2018.
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In questa sede vengono esaminate le prescrizioni inerenti il trattamento dei dati nei rapporti di lavoro.
Ambito di applicazione
Le prescrizioni si applicano a tutti coloro che, a vario titolo (titolare/responsabile del trattamento), effettuano trattamenti per finalità d’instaurazione, gestione ed estinzione del rapporto di lavoro e, tra gli altri:
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Prescrizioni specifiche relative a diverse categorie di dati
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Qualora nei curricula inviati dai candidati siano presenti dati non pertinenti rispetto alla finalità perseguita, i datori di lavoro che effettuano la selezione devono astenersi dall’utilizzare tali informazioni.
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Il datore di lavoro tratta dati che rivelano le opinioni politiche o l’appartenenza sindacale, o l’esercizio di funzioni pubbliche e incarichi politici, di attività o di incarichi sindacali esclusivamente:
Il datore di lavoro:
Modalità di trattamento
Con riferimento alle modalità di trattamento:
La Corte di cassazione ha ribadito che il sindacato del giudice non può riguardare anche il merito delle scelte gestionali del datore di lavoro e una minima riduzione dei ricavi, se obiettivamente connessa al provvedimento espulsivo, può ritenersi idonea a giustificare il licenziamento.
L’antefatto che Corte di legittimità, con lasentenza 18 luglio 2019, n. 19302 , ha esaminato, è stato in estrema sintesi, il seguente.
Un lavoratore adiva il Tribunale affinché dichiarasse illegittimo il licenziamento intimatogli per essersi opposto alla decisione del datore di lavoro di trasformare il suo rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.
La Corte d’appello, nel confermare la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda del lavoratore, evidenziava come fosse pacifico che il bilancio dell’impresa nell’anno antecedente il licenziamento aveva registrato un utile di esercizio e una riduzione delle passività. Inoltre, sempre secondo la Corte distrettuale, dalle scritture contabile e dalle deposizioni dei testi era emerso un leggero calo del profitto dal 2008 al 2010, pur essendo rimasti i risultati di esercizio positivi.
E per fronteggiare la descritta e lieve flessione negativa del margine di profitto, il datore di lavoro aveva deciso di trasformare il rapporto di lavoro di alcuni dipendenti, tra cui il ricorrente, da full time a part time.
Pertanto, la situazione economica sopra descritta non poteva essere ritenuta tale da giustificare il licenziamento in esame.
Avverso la decisione di merito, il datore di lavoro proponeva ricorso in cassazione articolato in due motivi di cui il primo inerente alla errata valutazione circa la non ricorrenza del giustificato motivo oggettivo.
Con il primo motivo di ricorso, in altre parole, si denunciava il contrasto tra quanto sostenuto nella sentenza impugnata e quanto enunciato più volte dalla Cassazione, «secondo cui anche le ragioni dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell’impresa, che determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un posto di lavoro, possono legittimare il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo».
Inoltre il datore di lavoro sottolineava:
– come in una società, quale la sua, di piccole dimensioni non potesse essere sottovalutata neppure la registrata minima, ma costante, riduzione dei ricavi dal 2008 al 2010;
– che solo a fronte della mancata accettazione da parte del lavoratore di passare a regime di tempo parziale si era proceduto al suo licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Sul punto, i giudici di legittimità hanno precisato che il controllo in sede giudiziale sulla legittimità licenziamento si deve sostanziare nella verifica: (i) dell’esistenza della ragione obiettiva che il datore di lavoro ha dichiarato essere alla base dello stesso; (ii) della sussistenza del nesso causale tra la ragione accertata e la soppressione della posizione lavorativa.
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