Con la sentenza n. 10104 del 12 ottobre 2024, il Tribunale di Roma ha statuito che, in caso di licenziamento disciplinare irrogato senza una preventiva contestazione, si ravvisa non già una mera deviazione formale dallo schema procedimentale della norma, bensì una vera e propria nullità, che genera sempre il diritto del lavoratore alla reintegrazione in servizio.

Il fatto affrontato

Un dipendente, pasticcere presso un esercizio commerciale avente meno di 15 dipendenti, veniva licenziato per giusta causa in assenza di una preventiva contestazione disciplinare.

Il lavoratore impugnava giudizialmente il licenziamento disciplinare irrogatogli, deducendo – tra le altre cose – la violazione della procedura di cui all’art. 7 della L. 300/1970, avendo la parte datoriale omesso di contestargli preventivamente l’addebito.

La sentenza

Il Tribunale di Roma ha preliminarmente rilevato che il datore di lavoro rientrava tra le imprese con meno di 15 dipendenti e che il lavoratore risultava assunto dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015.

In assenza del requisito dimensionale di cui all’articolo 18, ottavo e nono comma, della L. n. 300/1970, si poneva dunque il problema di individuare la tutela applicabile per il licenziamento intimato senza previa contestazione, trattandosi di ipotesi non espressamente disciplinata dalla legge.

Il Giudice ha dunque ripercorso la normativa contenuta nel D.Lgs. 23/2015, al fine di individuare la tutela applicabile alla fattispecie esaminata.

Il Tribunale di Roma ha preliminarmente escluso l’applicazione dell’art. 3, comma 2, D.Lgs 23/2015, in quanto, come noto, la tutela reintegratoria per insussistenza del fatto è esclusa nel caso di imprese con meno di 15 dipendenti.

Non aderente alla fattispecie esaminata risultava altresì la tutela di cui all’art. 4 D.Lgs n. 23/2015, afferente violazioni di tipo meramente formale (mentre la radicale mancanza di contestazione non costituisce solo una violazione formale, ma concreta una violazione con riflessi sostanziali).

Anche la tutela di cui all’art. 3, comma 1, D.Lgs 23/2015, che disciplina le ipotesi in cui “risulta accertato che non ricorrono gli estremi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa”, risultava non aderente alla fattispecie esaminata.

Il Tribunale ha quindi richiamato la giurisprudenza di legittimità che ha chiarito come “la nullità di una sanzione disciplinare per violazione del procedimento finalizzato alla sua irrogazione […] rientra tra quelle c.d. di protezione, poiché ha natura inderogabile ed è posta a tutela del contraente più debole del rapporto, vale a dire il lavoratore” (Cass.12770/2019).

Facendo seguito alla giurisprudenza di legittimità richiamata, il Tribunale di Roma ha pertanto rilevato che la nullità di una sanzione disciplinare per violazione dell’iter legislativo previsto per la sua irrogazione rientra — appunto – nella categoria delle nullità di protezione, atteso che la procedura garantistica prevista in materia disciplinare (dall’art. 7 Stat. Lav.) è inderogabile ed è fondata su un evidente scopo di tutela del contraente debole del rapporto (vale a dire del lavoratore dipendente).

Su tali presupposti, il Tribunale di Roma – ritenendo integrata detta nullità, stante il mancato rispetto del procedimento dettato a garanzia del dipendente – ha accolto il ricorso promosso dal lavoratore, condannando il datore di lavoro alla sua reintegrazione in servizio.

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Secondo l’art. 29, comma 2, del D.Lgs. 276/2003 (cd. “Legge Biagi”), negli appalti di opera o servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è responsabile in solido con l’appaltatore, nonché con gli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, per il pagamento degli importi dovuti ai lavoratori, in ragione dell’attività lavorativa prestata nel corso dell’appalto, a titolo di:  

– retribuzione, comprese le quote di Trattamento di Fine Rapporto (T.F.R.);   

– contributi previdenziali e assicurativi. 

La solidarietà invece non opera con riguardo alle sanzioni civili, per le quali risponde solo il responsabile dell’inadempimento.  

Conseguentemente, in tema di appalto, seppur l’obbligo di retribuire i lavoratori e di versare i contributi previdenziali sia a carico dell’appaltatore, ossia dell’impresa che assume direttamente il personale e gestisce l’appalto, la normativa italiana affida al committente un ruolo di “garanzia” rispetto ai predetti obblighi, introducendo a suo carico una vera e propria obbligazione solidale. 

La suddetta garanzia, in termini pratici, comporta che i lavoratori possano agire indistintamente nei confronti dell’appaltatore o del committente per ottenere il pagamento delle somme non corrisposte e dovute in ragione dell’attività lavorativa prestata durante l’appalto.  

Peraltro, la responsabilità solidale del committente trova applicazione anche in relazione ai compensi e agli obblighi di natura previdenziale nei confronti dei lavoratori con contratto di lavoro autonomo, ai sensi dell’art. 9 del D.L. 76/2013, convertito con modificazioni in L. 9 agosto 2013, n. 99. 

La solidarietà del committente è soggetta ad un termine decadenziale di due anni, decorrente dalla cessazione dell’appalto. Tale termine biennale si applica però esclusivamente alle pretese avanzate dai lavoratori, mentre, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, non opera nei confronti delle azioni di recupero promosse dagli Enti previdenziali o assicurativi, come INPS o INAIL, che continueranno ad essere soggette esclusivamente al termine prescrizionale di cinque anni.  

Il committente che, in ragione della solidarietà, ha corrisposto ai lavoratori i trattamenti retributivi o contributivi dovuti, potrà agire per il recupero in via di regresso nei confronti del coobbligato appaltatore, secondo le regole generali dettate dal codice civile, mentre non può più  invocare il beneficio di preventiva escussione dell’appaltatore, come era previsto fino al 2017. 

Infine, è stato recentemente osservato dalla Corte di Cassazione che la solidarietà tra committente e appaltatore non si applica esclusivamente ai contratti qualificati come “appalto”, ma opera ogniqualvolta i lavoratori vengano impiegati in situazioni di decentramento produttivo in cui via sia stata una “dissociazione fra la titolarità del contratto di lavoro e l’utilizzazione della prestazione lavorativa che possa giustificare una applicazione della garanzia di cui all’articolo 29” (cfr. Cassazione, Sez. Lavoro,  sentenza n.  26881 del 16 ottobre 2024). In virtù di detto principio, la solidarietà è stata ritenuta operante, ad esempio, in caso di contratto di “affidamento di reparto” o anche di contratto di fornitura. 

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Una sentenza del Tribunale di Roma riqualifica il ruolo dei content creator: cosa cambia per chi lavora sui social. Domani 26 novembre la discussione virtuale con lo studio De Luca & Partners.

L’attività degli influencer sta diventando a tutti gli effetti una professione, rendendone necessario il corretto inquadramento da un punto di vista lavoristico. Lo dimostra la recente sentenza del Tribunale di Roma che, per la prima volta in Italia, ha considerato i content creator che promuovono stabilmente e con continuità i prodotti di un’azienda, alla stregua di agenti di commercio. Una pronuncia che ha avuto e potrà avere un importante impatto tanto sugli influencer, quanto sulle aziende (c.d. preponenti) che si avvalgono dei loro servizi. «Bisogna prima di tutto distinguere gli impatti per l’uno e per l’altro» spiega l’avvocato Alessandro Ferrari, dello studio De Luca & Partners, che domani 26 novembre alle ore 8, in una virtual breakfast su The Platform dal titolo Influencers – Agenti di commercio: quanto rischia di costare un adv? (l’iscrizione è gratuita), illustreranno nel dettaglio l’impatto della sentenza del Tribunale di Roma per content creator e imprese. «Anzitutto, per gli influencer la riqualificazione in “agenti” comporta l’applicazione, al relativo rapporto, di una serie di oneri e diritti previsti dal codice civile, così come dagli accordi economici collettivi (Aec). Dalla qualificazione del rapporto in agenzia derivano, poi, speculari obblighi e prerogative in capo ai preponenti. Ci sono poi degli impatti in termini economici – tra tutti, quello relativo alla cosiddetta “indennità di fine rapporto” dovuta agli agenti – e, non meno importante, da un punto di vista contributivo, che riguardano, in misura differente, tanto l’influencer quanto il preponente».

Cosa significa per le aziende? Quali oneri devono essere pagati? «Per quanto riguarda gli oneri previdenziali, il fulcro di tutto è l’Enasarco, la fondazione a cui sia gli agenti che i preponenti si devono iscrivere e alla quale sono dovuti gli oneri contributivi – spiega la dottoressa Roberta De Felice, consulente del lavoro in HR Capital –. La quota cambia in base alla tipologia di agente, ne esistono di due tipologie: i monomandatari, cioè quelli che hanno un mandato esclusivo con il preponente, e i plurimandatari che invece hanno diversi contratti di agenzia con più preponenti. La contribuzione del 2024 è pari al 17%, di cui il 50% è a carico dell’agente e l’altro 50% a carico del preponente. Sottolineiamo che la contribuzione è dovuta non solo nel caso in cui parliamo di agenti, società di persone o ditte individuale ma anche per le società di capitali, con una specifica: in questo caso non abbiamo più la contribuzione del 17%, ma un contributo assistenziale del 4%, che decresce con l’aumentare delle provvigioni. Esistono poi una serie di corollari di adempimenti che devono essere svolti e che necessitano l’ingaggio di un soggetto che supporti le aziende nell’effettuare questi adempimenti. Non si tratta per forza di un consulente del lavoro, ma è necessario individuare una persona all’interno dell’impresa che si occupi prima di tutto di registrare la preponente all’Enasarco e di denunciare il rapporto di agenzia nonché di provvedere alla compilazione delle distinte contributive nell’apposita sezione.

Continua a leggere l’inteervita integrale su The Platform e scopri di più sul tema alla pagina dedicata al nostro webinar sull’argomento.

Vittorio De Luca, intervistato da Giorgio Pogliotti de Il Sole 24 Ore, ha parlato del tema degli appalti. In particolare, l’intervista si è focalizzata sugli appalti illeciti e sulle conseguenze sanzionatorie degli stessi.

“Spesso constatiamo che non c’è piena sensibilità da parte delle imprese sulla gravità delle conseguenze degli appalti non genuini e delle azioni preventive che andrebbero intraprese”.

Qui il video integrale dell’intervista: il Sole 24 Ore

Compliance, contratti di agenzia e gestione della privacy: un quadro di complessità crescente

Lo studio legale De Luca & Partners e HR Capital hanno recentemente messo in luce criticità rilevanti in settori strategici come la gestione dei contratti, la compliance normativa e la protezione dei dati. Questi ambiti, fondamentali per le aziende italiane, si confrontano con un’evoluzione normativa che richiede un’attenzione crescente per evitare conseguenze economiche e reputazionali.


Contratti di agenzia per gli influencer: nuove implicazioni economiche e normative


Una recente sentenza del Tribunale di Roma ha riqualificato quali contratti di agenzia i rapporti di collaborazione commerciale tra una società e alcuni influencer ai quali era affidata l’attività di promozione tramite canali social dei prodotti della società, condannando quest’ultima, in conseguenza della riqualificazione, al versamento dei contributi omessi a Enasarco.


La riqualificazione dei contratti commerciali in contratti di agenzia potrebbe, peraltro, implicare un ulteriore impatto economico significativo per le aziende, ossia il pagamento in favore dell’influencer/agente dell’indennità di cessazione del rapporto da calcolarsi, di norma, sulla base della media annuale dei compensi riscossi dall’influencer/agente negli ultimi cinque anni. Alla luce di quanto precede, sarebbe opportuno che le aziende aggiornassero i propri bilanci con accantonamenti mirati e procedessero alla corretta qualificazione dei contratti già esistenti sanando eventuali irregolarità in essere.

Tuttavia, secondo i name partner dello studio Vincenzo De Luca e Vittorio De Luca, molte aziende non hanno ancora compreso l’urgenza di implementare una adeguata regolamentazione dei rapporti contrattuali.

Contratti di appalto e requisiti di genuinità: rischi penali per le irregolarità

Il rispetto dei requisiti di genuinità nei contratti di appalto è ormai sotto la stretta sorveglianza delle Autorità. Il Legislatore ha recentemente inasprito, sia per i committenti che per gli appaltatori, le conseguenze previste per gli appalti “non genuini” ove si realizzi, di fatto, una somministrazione irregolare di manodopera, prevedendo anche sanzioni di natura penale.
Per essere considerato conforme, un appalto deve rispondere ai tre requisiti ovvero l’assunzione del rischio d’impresa, l’organizzazione dei mezzi e la gestione autonoma del personale da parte dell’appaltatore, con la direzione effettiva delle persone coinvolte da parte dell’appaltatore.
La reintroduzione delle sanzioni penali dal marzo 2024 rappresenta una spinta ulteriore per le aziende a
garantire la trasparenza e l’autonomia dei rapporti di appalto.

Compliance e nuova “Patente a crediti”: un obbligo per aziende e lavoratori autonomi

Dal 1° ottobre 2024 è entrato in vigore il nuovo sistema della “Patente a crediti,” che richiede una serie di
adempimenti formali per chi opera in cantieri o su progetti di ingegneria rilevanti nel territorio italiano.
Sarà un requisito fondamentale per chi deve lavorare (azienda o lavoratore autonomo che opera nel cantiere) sul territorio nazionale.
La compliance per ottenere questa certificazione include documenti come il Durc e il Durf e il rispetto della normativa attinente alla salute e sicurezza sul luogo di lavoro, obbligando anche le imprese estere che operano in Italia a soddisfare tali requisiti.
L’avvocato Vittorio De Luca illustra che la Patente a crediti è prevista anche per le imprese estere che operano sul territorio italiano, ad esempio nei cantieri immobiliari e di infrastrutture, così come nell’installazione di data center. L’azienda estera potrà essere esentata dalla regolamentazione della “Patente a crediti” soltanto qualora abbia conseguito un titolo equipollente con una certificazione rilasciata nello stato estero.
L’integrazione tra aspetti legali, fiscali e contributivi diventa cruciale per un’operatività trasparente e conforme.
Vi è perciò una interconnessione tra la parte legale e di compliance, curata dallo Studio De Luca & Partners, e quella fiscale e contributiva, gestita dal consulente del lavoro HR Capital, come spiega il Dott. Andrea Di Nino.

Privacy e protezione dei dati: le gravi conseguenze delle violazioni

La gestione della privacy e dei dati personali è diventata uno dei punti focali per le aziende italiane, specie alla luce delle severe sanzioni imposte per le violazioni del GDPR, che possono arrivare fino al 4% del fatturato mondiale totale annuo.
La Dott.ssa Martina De Angeli spiega che recenti indagini della Procura di Milano hanno evidenziato come una scarsa sicurezza dei sistemi IT possa portare a intrusioni non autorizzate con conseguenze gravi. Oltre a dover segnalare un eventuale data breach entro le 72 ore – si tenga presente che da un punto di vista operativo è un tempo brevissimo, le aziende devono monitorare costantemente i propri sistemi, formando il personale e implementando processi di controllo e monitoraggio continui.

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