La Cassazione, con sentenza n. 19321, pubblicata il 15 giugno 2022, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimato ad un dipendente che ha prestato attività lavorativa durante il periodo di congedo per “gravi motivi familiari”.
Nel caso oggetto della pronuncia della Cassazione n. 19321/2022, il lavoratore in questione, in data 15maggio 2017, ha chiesto di usufruire dell’aspettativa per il periodo dal 1° giugno 2017 al 30 settembre2017, allegando, a fronte della richiesta della società di specificare i motivi della richiesta, il certificato medico di gravidanza della moglie, che indicava la presenza di minacce di aborto e prescriveva 30giorni di cure e riposo domiciliare.
La società, con nota del 1° giugno 2017, ha accolto la richiesta, qualificandola come aspettativa per “gravi motivi familiari” ai sensi dell’art. 157 (già art. 151) del contratto collettivo nazionale di riferimento e dell’art. 4, comma 2, della legge n. 53 del 2000.
Durante il periodo di aspettativa, la società ha condotto alcune investigazioni, nel corso delle quali è emerso che il dipendente ha svolto attività di pulizia in favore della ditta di cui egli stesso o la moglie erano titolari.
Il 1° agosto 2017 la società ha dunque avviato un procedimento disciplinare, che si è concluso con il licenziamento per giusta causa intimato al dipendente il 25 agosto 2017.
La Corte d’Appello ha ritenuto sussistente il giustificato motivo soggettivo di licenziamento in quanto il lavoratore ha violato l’espresso divieto, posto dall’art. 4, comma 2, legge n. 53 del 2000 e dall’art. 157del contratto collettivo, di svolgere attività lavorativa durante il periodo di congedo per gravi motivi familiari.
Il dipendente ha impugnato il provvedimento con ricorso per Cassazione, sostenendo che l’aspettativa richiesta (i) era un’aspettativa per “motivi personali” e non per “gravi motivi familiari”, e che, pertanto, non trovavano applicazione le disposizioni normative sopra richiamate ed i conseguenti divieti; (ii) non aveva comportato benefici economici per il lavoratore, dal momento che l’attività lavorativa era stata prestata presso l’azienda propria e della moglie; (iii) non aveva causato alcun danno alla società, che si trovava in regime di contratti di solidarietà difensiva e, pertanto, non aveva avuto la necessità di sostituire il dipendente.
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