Cassazione: licenziamento per scarso rendimento, occorre la prova di notevole inadempimento del prestatore di lavoro

Categorie: DLP Insights, Giurisprudenza, News, Rassegna stampa | Tag: diritto del lavoro, Contenzioso del lavoro

04 Mag 2023

Con ordinanza n. 9453 del 6 aprile 2023, La Corte di Cassazione si è espressa in tema di licenziamento per scarso rendimento precisando che detta tipologia di recesso rientra nell’ambito dei licenziamenti per giustificato motivo soggettivo che conseguono ad un notevole inadempimento da parte del lavoratore degli obblighi contrattuali sullo stesso incombenti. In tale ambito, il datore di lavoro è tenuto a fornire la prova che il mancato raggiungimento di un risultato prefissato – che non costituisce di per sé inadempimento – derivi da una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal prestatore di lavoro ed allo stesso imputabile.

Il fatto affrontato e il giudizio di merito

In data 5 luglio 2016, ad un lavoratore di un istituto bancario, addetto all’Ufficio Sviluppo, veniva intimato un licenziamento per giusta causa sulla base di cinque addebiti disciplinari. Uno dei predetti addebiti si riferiva per l’appunto allo scarso rendimento, contestato per il periodo da novembre 2015 ad aprile 2016, per il quale la banca aveva comparato l’esiguo numero di visite a filiali e clienti dallo stesso effettuate dal lavoratore interessato dal procedimento disciplinare con i dati di produzione degli altri colleghi addetti al medesimo ufficio e mansioni, risultati enormemente superiori.

Nell’ambito del c.d. Rito Fornero e con particolare riferimento all’addebito sullo scarso rendimento, il Tribunale di Treviso, pur accertando la violazione del principio di immediatezza della contestazione disciplinare, confermava la sussistenza dello scarso rendimento e, sulla scorta di ciò, limitava la tutela in favore del lavoratore all’indennità risarcitoria di cui all’art. 18, comma 6, Legge n. 300/70, nella misura di 12 mensilità.

In sede di opposizione ex art. 1, comma 57, Legge n. 92/2012, il Tribunale di Treviso confermava la sussistenza dell’addebito sullo scarso rendimento in relazione al quale, superando l’eccezione di violazione del principio di immediatezza della contestazione, ne confermava l’idoneità a giustificare il recesso per scarso rendimento. Stante ciò, detto Tribunale – richiamando il disposto del CCNL applicato al rapporto di lavoro – convertiva il licenziamento per giusta causa in uno per giustificato motivo soggettivo, con condanna del prestatore di lavoro alla restituzione dell’indennità risarcitoria ex art. 18, comma 6, Legge n. 300/70 sopra richiamata, al netto dell’indennità sostitutiva del preavviso.

In sede di appello, la Corte territoriale di Venezia confermava la sentenza di primo grado del Tribunale di Treviso considerando l’inadempimento contestato al lavoratore di notevole entità avuto altresì conto della mancanza di elementi obiettivi che giustificassero la riduzione di attività da parte del lavoratore medesimo.

La sentenza della Suprema Corte

Il lavoratore ha proposto ricorso in Cassazione avverso la decisione assunta dalla Corte d’Appello di Venezia, al quale resisteva l’istituto bancario con controricorso.

Con particolare riferimento al tema dello scarso rendimento, la Corte di Cassazione, sulla scorta di propri precedenti, ha confermato che il licenziamento per scarso rendimento rientra tra i licenziamenti per giustificato motivo soggettivo rispetto al quale incombe sul datore di lavoro l’onere di provare, non solo il mancato raggiungimento del risultato atteso, ma anche la riconducibilità di esso ad un colpevole negligente inadempimento degli obblighi scaturenti in capo al lavoratore dal sottostante rapporto di lavoro.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha condiviso l’accertamento compiuto dal Tribunale di Treviso rilevando che il lavoratore, in considerazione del modesto numero di visite effettuate presso i clienti e tenuto conto dell’acquisizione di un solo cliente nel periodo di tempo preso in considerazione dal datore di lavoro, avesse reso una prestazione lavorativa insufficiente che, rapportata ai dati di produzione degli altri colleghi, aveva condotto il giudice di prime cure ad accertare l’effettività dello scarso rendimento e della sua gravità.

In tema di prova, gli Ermellini hanno invece rilevato che la corte territoriale di Venezia avesse correttamente “apprezzato l’inadempimento addebitato” al ricorrente, “una volta escluse (…) le situazioni allegate dal lavoratore (…) che avrebbero potuto quantomeno in parte giustificarlo”. Inoltre, la Corte di Cassazione, sempre richiamando propri precedenti, ha precisato che, per la valutazione della gravità dell’inadempimento, “può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione” lo scostamento da parte del lavoratore da eventuali “parametri per accertare se la prestazione sia eseguita con diligenza e professionalità medie”, avuto conto dell’attività resa per “un apprezzabile periodo di tempo”.

A sostegno di tale tesi, la Corte di Cassazione ha richiamato un altro suo precedente (Cass. Civ., Sez. Lav., sentenza n. 18678 del 4 settembre 2014) in cui era stata confermata la legittimità di un licenziamento per scarso rendimento intimato ad un lavoratore che era stato provato aver commesso una “evidente violazione della diligente collaborazione dovuta” ed allo stesso imputabile, “in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, tenuto conto della media attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione”.

Circa invece l’esiguità del periodo di tempo considerato ai fini della valutazione dell’inadempimento, la Corte di Cassazione non ha condiviso i rilievi del ricorrente, soprattutto, in considerazione del fatto che dagli elementi probatori offerti dal datore di lavoro (i.e., la comparazione dei dati dell’attività del lavoratore licenziamento con quelli dei colleghi) era emersa “una rilevantissima sproporzione tra le prestazioni dell’attuale ricorrente e quelle di diversi suoi colleghi del medesimo ufficio sviluppo; sproporzione che, a sua volta, ben può essere sussunta in un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore”.

Il ricorso del lavoratore è stato pertanto rigettato con condanna dello stesso al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

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