È pronto per essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo attuativo del Jobs Act sul riordino delle tipologie contrattuali.
L’articolo 3 del decreto modifica in modo significativo, dal giorno successivo alla pubblicazione sulla «Gazzetta», la disciplina sulle mansioni e sul cosiddetto jus variandi del datore di lavoro: il decreto prevede la sostituzione dell’articolo 2103 del Codice civile.
L’articolo 3 del decreto modifica in modo significativo, dal giorno successivo alla pubblicazione sulla «Gazzetta», la disciplina sulle mansioni e sul cosiddetto jus variandi del datore di lavoro: il decreto prevede la sostituzione dell’articolo 2103 del Codice civile.
Il decreto abbandona il concetto di mansioni equivalenti, sancendo che il lavoratore deve essere adibito a mansioni almeno «riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte». Con questa formulazione il legislatore, attraverso un implicito e indiretto rinvio alla contrattazione collettiva, mira quindi a ridurre l’ambito di discrezionalità del datore di lavoro in ipotesi di modifica delle mansioni, introducendo indici oggettivi cui poter fare riferimento nell’esercizio dello jus variandi.
Inoltre, il decreto disciplina i casi nei quali il demansionamento, sino ad oggi espressamente vietato dalla legge, è legittimo.
La nuova disposizione, infatti, prevede che il datore di lavoro, in ipotesi di modifica degli assetti organizzativi aziendali tali da incidere sulla posizione del lavoratore, possa, unilateralmente, assegnare quest’ultimo a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, rispetto a quello in atto. In tale ipotesi, è previsto che il lavoratore, adibito a mansioni inferiori, conservi il livello di inquadramento e il trattamento retributivo in essere, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa. Viene inoltre prevista la possibilità per la contrattazione collettiva nazionale e/o aziendale di prevedere altre ipotesi in cui è consentita la assegnazione unilaterale a mansioni inferiori. In ogni caso, l’assegnazione alle nuove mansioni deve essere comunicata per iscritto a pena di nullità.
Con la nuova disciplina, pertanto, viene ammessa la possibilità per il datore di lavoro di modificare in pejus le mansioni assegnate al lavoratore, purché le nuove mansioni siano almeno riconducibili a quelle appartenenti a un solo livello di inquadramento inferiore rispetto a quello in atto prima del demansionamento.
Il decreto prevede che il mutamento delle mansioni sia accompagnato – ove necessario – dall’assolvimento dell’obbligo di formare il lavoratore interessato, ma che il mancato adempimento di tale onere non può determinare la nullità dell’atto di assegnazione alle nuove mansioni.
Inoltre, il decreto, facendo proprio un consolidato orientamento giurisprudenziale, introduce anche la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni inferiori con contestuale riduzione del trattamento economico, della categoria legale e del livello di inquadramento, purché sussista il consenso del lavoratore.
Tale possibilità, tuttavia, è lecita esclusivamente nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, alla acquisizione di una diversa professionalità ovvero al miglioramento delle condizioni di vita e purché il consenso del lavoratore risulti da verbale di accordo individuale sottoscritto in una delle sedi di cui all’articolo 2113, comma 4 del Codice civile.
Un ultimo accenno va fatto rispetto alla promozione dei lavoratori assegnati a mansioni superiori (articolo 3, comma 7 del decreto). La nuova disciplina prevede infatti che l’acquisizione definitiva delle mansioni superiori e del relativo trattamento avviene dopo sei mesi continuativi di adibizione (anziché tre, come previsto dalla previgente formulazione dell’articolo 2103 del Codice civile) ovvero decorso il periodo fissato dalla contrattazione collettiva, ma viene esclusa laddove sia intervenuta per ragioni sostitutive di un altro lavoratore “in servizio” .
Resta confermato il principio secondo cui il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva a un’altra se non in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzate e produttive.
Infine, rimane la sanzione della nullità per i patti stipulati in violazione delle disposizioni contenute nell’articolo 2103 .
Fonte:
Il Sole 24 Ore
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