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Comunicazione della malattia contratta all’estero: valida la comunicazione via fax (Norme & Tributi Plus Lavoro de Il Sole 24 Ore, 08 ottobre 2024 – Vittorio De Luca, Roberta Padula)

L’invio del certificato medico tramite fax è una valida modalità di comunicazione della malattia da parte del lavoratore, in quanto espressamente prevista nel regolamento aziendale

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 25661 del 25 settembre 2024, ha ritenuto illegittimo il licenziamento di un lavoratore che, in ferie all’estero, aveva comunicato la propria assenza per malattia, tramite fax, affermando che tale modalità fosse conforme al regolamento aziendale. La Corte ha sottolineato come la comunicazione della malattia potesse avvenire anche in forme diverse dalla lettera raccomandata, se previsto dal regolamento aziendale.

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La comunicazione della malattia al datore di lavoro può essere validamente effettuata tramite fax, qualora tale modalità sia espressamente prevista dal regolamento aziendale. In tal caso, si presume che il fax sia stato correttamente ricevuto dal datore di lavoro qualora il lavoratore riesca a documentare, mediante rapporti di trasmissione, il buon esito della comunicazione, anche in assenza di tracce sui server aziendali. La condotta del lavoratore riguardo la comunicazione della malattia all’estero, sebbene possa essere considerata non del tutto diligente, non è sufficiente a configurare una giusta causa di licenziamento, qualora non venga dimostrata la consapevolezza del lavoratore circa il mancato buon esito della trasmissione.

I fatti di causa

Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione riguarda il licenziamento per giusta causa per “assenza ingiustificata di oltre quattro giorni” irrogato nei confronti di un lavoratore che, mentre si trovava in Romania per ferie, si era ammalato. Il dipendente ha sostenendo la giustificatezza della propria assenza, affermando che aveva contratto la malattia durante il periodo di ferie e, pertanto, aveva inviato il certificato medico tramite fax, in linea con quanto previsto dal regolamento aziendale.

A seguito del licenziamento, il lavoratore ha, dunque, impugnato il provvedimento dinanzi al Tribunale di Treviso, chiedendo l’annullamento del recesso per insussistenza del fatto contestato.

L’argomento principale alla base degli scritti difensivi della società consisteva nella presunta inadeguatezza della comunicazione di malattia. Nella specie, l’azienda ha sostenuto che il lavoratore non aveva rispettato le procedure previste dal regolamento aziendale, che, secondo la società, richiedevano sia una comunicazione più “formale”, tipicamente attraverso lettera raccomandata, sia un preavviso telefonico. Di contrario avviso era il lavoratore, il quale ha replicato che l’invio del fax fosse una modalità consentita dal regolamento stesso e che il certificato era stato trasmesso correttamente, come dimostrato dal rapporto di trasmissione.

I vari gradi di giudizio

Durante la fase sommaria, il Tribunale di Treviso ha accolto l’impugnazione del lavoratore, annullando il licenziamento e ordinandone la reintegrazione. Inoltre, condannava la società al pagamento «dell’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino all’effettiva reintegrazione».

Avverso la decisione del Tribunale, l’azienda ha successivamente depositato il proprio ricorso dinanzi la Corte d’Appello di Venezia, la quale ha accolto parzialmente il gravame, confermando l’illegittimità del licenziamento e la reintegrazione, ma rideterminando l’indennità risarcitoria in dodici mensilità.

La Corte ha, infatti, sostenuto che l’articolo 40 del contratto collettivo applicato prevede l’assenza ingiustificata pari o superiore a quattro giorni come causa di licenziamento disciplinare, includendo nella definizione di assenza ingiustificata anche la tardiva comunicazione ed il ritardo nell’invio del certificato medico.

In aggiunta a quanto sopra, secondo il regolamento aziendale era preciso dovere del lavoratore avvertire il datore di lavoro il giorno stesso dell’evento, oltre a procedere all’invio del certificato medico.

Inoltre, è emerso che il dipendente non aveva documentato alcun impedimento che giustificasse la mancata comunicazione; infatti, l’unico messaggio di testo inviato risaliva a giorni successivi all’inizio dell’assenza contestata.

Un ultimo aspetto significativo esaminato dalla Corte d’Appello ha riguardato la mancanza di allegazione da parte del dipendente circa un possibile impedimento di comunicazione telefonica. Sul punto, la Corte ha osservato che «il lavoratore non ha documentato un impedimento di tale gravità da escludere radicalmente la possibilità di un preventivo serio tentativo di contatto con il responsabile aziendale». Infine, ha sottolineato che «il lavoratore ha tenuto una condotta formalmente ossequiosa degli obblighi contrattuali, ma limitandosi ad adempiervi in forma minimale».

Conseguentemente, la Corte ha rilevato che il lavoratore non aveva rispettato l’obbligo di avvisare telefonicamente il datore di lavoro, contravvenendo così al regolamento aziendale e alle regole di diligenza richiesta nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato.

Avverso la decisione della Corte di Appello, l’azienda ha presentato ricorso per Cassazione, articolando cinque motivi di impugnazione.

Il primo motivo, si è basato sulla presunta nullità della sentenza per avere la Corte d’Appello fornito affermazioni contraddittorie ed inconciliabili tra loro. In particolare, i giudici del reclamo avrebbero «dapprima affermato che il comportamento del lavoratore non era stato lineare né improntato alle basilari regole di sollecita diligenza richieste dal rapporto di lavoro subordinato» e, successivamente, «escluso la sussistenza della giusta causa».

La Corte di Cassazione, respingendo la predetta tesi, ha affermato che la contraddittorietà era solo apparente, in quanto la Corte d’Appello aveva ritenuto sufficiente sia la modalità di invio tramite fax, in quanto prevista dal regolamento aziendale, sia la prova della sua ricezione nel rapporto di trasmissione prodotto in giudizio dal lavoratore, in quanto analogo fax risultava spedito all’INPS e da essi regolarmente ricevuto.

Con il secondo motivo, la società ha impugnato la decisione della Corte, per aver ritenuto “idonea” la modalità di trasmissione tramite fax.

La Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo infondato in quanto «il fax era una modalità prevista dal regolamento aziendale» e «la norma di legge non esclude modalità equivalenti secondo forme d’uso, che ben possono essere previste appunto da un regolamento aziendale».

Con il terzo motivo, la società ha sostenuto che la Corte territoriale ha contraddittoriamente «dapprima affermato che solo in giudizio il datore di lavoro aveva potuto verificare il contenuto della trasmissione del fax, ossia la certificazione medica, poi affermato che non vi era prova di falsificazione o alterazione del messaggio».

Anche in questo caso, la Cassazione ha respinto le argomentazioni dell’azienda, affermando che il fax era da considerarsi un valido mezzo di comunicazione, così come previsto dal regolamento aziendale, sicché «la conoscenza del destinatario è irrilevante ai fini del fatto oggetto della contestazione disciplinare»

Con il quarto motivo la società ha contestato che la Corte territoriale ha presunto il corretto arrivo del fax partendo dall’unico dato disponibile circa l’effettivo invio dello stesso.

La Cassazione ha affermato che «l’obbligo del lavoratore si esaurisce nella verifica del buon esito della trasmissione del fax», affermando dunque che «la condotta del lavoratore è quindi esente da addebiti».

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