La Corte di Appello di Roma ha accertato la natura subordinata di un rapporto di lavoro formalmente configurato come collaborazione autonoma, dichiarando il diritto del lavoratore al risarcimento del danno differenziale pensionistico come previsto dall’art. 2116 cod. civ. per i contributi previdenziali mai versati e oramai prescritti. Sul punto, è stato inoltre precisato dalla Corte che ai fini della determinazione dei danni non rileva la contribuzione versata nella Gestione Separata come collaboratore coordinato continuativo; contribuzione che perciò potrà essere restituita al lavoratore
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 4225 del 21.12.2021, conferma un principio più volte affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui l’omissione della contribuzione produce un duplice pregiudizio patrimoniale a carico del prestatore di lavoro, consistente, da un lato, nella perdita, totale o parziale, della prestazione previdenziale pensionistica che si verifica al momento in cui il lavoratore raggiunge l’età pensionabile, e, dall’altro, nella necessità di costituire la provvista necessaria ad ottenere un beneficio economico corrispondente alla pensione, attraverso una previdenza sostitutiva, eventualmente pagando quanto occorre a costituire la rendita di cui alla Legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 13 (Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., 07/02/2018, n. 2964; Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., 08/09/2020, n. 18661).
Prima del raggiungimento dell’età pensionabile, la situazione giuridica soggettiva di cui può essere titolare il lavoratore nei confronti del datore di lavoro, consiste nel danno da irregolarità contributiva, a fronte del quale il lavoratore può esperire un’azione di condanna generica al risarcimento del danno ex art. 2116 cod. civ., ovvero di mero accertamento dell’omissione contributiva quale comportamento potenzialmente dannoso; e tale diritto al risarcimento del danno è soggetto a prescrizione decennale (Cass. Civ., Sez. Lavoro, Sent., 07/11/2005, n. 26990).
In questo senso, prima di analizzare nel dettaglio la sentenza in parola, è opportuno esaminare le disposizioni previste dall’art. 2116 cod. civ. e dall’art. 13, Legge 12 agosto 1962, n. 1338, in relazione al noto principio di “automaticità delle prestazioni”, che rappresenta uno dei capisaldi in tema di sicurezza sociale, configurandosi come una vera e propria “protezione” delle tutele di cui il lavoratore dispone nell’esercizio dei suoi diritti soggettivi.
La normativa di riferimento
Secondo la disposizione dell’art. 2116 cod. civ. le prestazioni indicate nell’art. 2114 cod. civ. sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali.
Al secondo comma dell’art. 2116 cod. civ. viene precisato che nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di assistenza non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute in ragione della mancata o irregolare contribuzione, il datore di lavoro è responsabile del danno che ne deriva al lavoratore.
Il comma in parola afferma dunque il principio secondo cui il diritto del lavoratore alle prestazioni previdenziali spetta indipendentemente dal fatto che il datore abbia o meno versato i contributi dovuti e ciò in applicazione del principio generale di automatismo delle prestazioni previdenziali.
Sul punto, assume inoltre rilevanza l’art. 13, Legge 12 agosto 1962, n. 1338, secondo cui il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione, può chiedere all’I.N.P.S. di costituire una rendita vitalizia riversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria, che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi.
La corrispondente riserva matematica è devoluta, per le rispettive quote di pertinenza, all’assicurazione obbligatoria dando luogo alla attribuzione a favore dell’interessato di contributi base corrispondenti, per valore e numero, a quelli considerati ai fini del calcolo della rendita. La rendita integra con effetto immediato la pensione già in essere; in caso contrario i contributi base sono valutati a tutti gli effetti ai fini della assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.
La norma specifica altresì che il datore di lavoro è ammesso ad esercitare tale facoltà su esibizione all’I.N.P.S. di documenti di data certa, dai quali possano evincersi l’effettiva esistenza e la durata del rapporto di lavoro, nonché la misura della retribuzione corrisposta al lavoratore interessato.
Il lavoratore, qualora non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita a norma dell’art. 13 citato, può egli stesso sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al risarcimento del danno, a condizione che fornisca all’I.N.P.S. le prove della sussistenza del rapporto di lavoro e della retribuzione percepita.
Per la costituzione della rendita, il datore di lavoro ovvero il lavoratore deve versare all’I.N.P.S. la riserva matematica calcolata in base alle tariffe che saranno a tale scopo determinate e variate, quando occorra, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentito il Consiglio di amministrazione dell’I.N.P.S.
A tal riguardo, la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che: “Il danno subito dal lavoratore per la perdita della pensione, derivata dall’omessa contribuzione previdenziale da parte del datore di lavoro ex art. 2116 c.c., si verifica al raggiungimento dell’anzianità pensionabile, con la conseguenza che da tale momento decorre il termine decennale di prescrizione del diritto al risarcimento, fermo restando, peraltro, che – completata la fattispecie produttiva del danno – il lavoratore è tenuto a provare di aver chiesto vanamente al datore di lavoro la costituzione della rendita vitalizia di cui all’art. 13, legge 12 agosto 1962, n. 1338, dovendosi ritenere, diversamente, che abbia concorso con la propria negligenza a cagionare il danno medesimo, che può essere, conseguentemente, ridotto od escluso ai sensi dell’art. 1227 c.c.” (Cass. civ., Sez. Lavoro, Sent., 11/09/2013, n. 20827).
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