Il Tribunale di Udine, con la sentenza n. 20 del 27 maggio 2022, ha affermato che assentarsi dal lavoro senza fornire alcuna giustificazione, per indurre il datore di lavoro ad adottare un licenziamento per assenza ingiustificata, è da censurare. Tale comportamento integra la fattispecie delle dimissioni per facta concludentia, anche senza il rispetto della procedura telematica.
Nel merito, il Giudice ha ritenuto illegittimo il comportamento di una lavoratrice, che non aveva effettuato la procedura, assentandosi per più giorni, con lo scopo di costringere il datore di lavoro a licenziarla per assenze ingiustificate così da ottenere la NASPI. Il Giudice ha ritenuto, invece, corretta la condotta del datore di lavoro che aveva comunicato al centro per l’impiego le dimissioni della dipendente, privandola così del diritto all’indennità di disoccupazione.
Al fine di ottenere il riconoscimento della NASPI occorre, infatti, che la cessazione del rapporto di lavoro sia avvenuta per eventi indipendenti dalla volontà del lavoratore come, ad esempio, il licenziamento disciplinare.
Da qui è derivata la prassi illegittima da parte di taluni dipendenti e consistente nella volontaria assenza ingiustificata dal lavoro per poter essere licenziati per giusta causa e poter percepire l’indennità di disoccupazione.
A tal riguardo, il Tribunale rammenta come la procedura telematica, prevista dall’art. 26 D.Lgs. n. 151/2015, pur avendo l’obiettivo di assicurare la genuinità delle dimissioni presentate dal lavoratore e consentirgli di essere libero da condizionamenti, non si spinge fino ad abrogare gli effetti degli artt. 2118 e 2119 cod. civ., che offrono la possibilità al lavoratore, mediante comportamenti concludenti, di rassegnare “di fatto” le proprie dimissioni attraverso una serie di assenze dal luogo di lavoro.
La lettura interpretativa del Tribunale di Udine si colloca nell’ottica di consentire la cessazione del rapporto di lavoro anche per fatti concludenti, esigenza presente invero nella legge delega n. 183/2014 ma rimasta inattuata nel D.Lgs. n. 151/2015. Pertanto, non si può ritenere che in caso di inerzia del lavoratore nel rassegnare formali dimissioni – già fattualmente intervenute – possa pervenirsi alla risoluzione del rapporto di lavoro solo attraverso l’adozione di un licenziamento per giusta causa.
Tale soluzione sarebbe “irragionevole” e “di dubbia compatibilità costituzionale”, nonché in contrasto con i principi dell’affidamento e della buona fede in senso oggettivo. Infatti, attraverso un licenziamento “imposto” al datore di lavoro, si darebbe luogo ad un esborso di provvidenze pubbliche – a favore del licenziato – per tutelare un fittizio stato di disoccupazione. Stato di disoccupazione, in realtà, esito di una scelta libera e non involontariamente subita dal lavoratore.
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