DLP Insights

È nullo per frode alla legge il licenziamento individuale recante la stessa motivazione del licenziamento collettivo

Categorie: DLP Insights, Giurisprudenza | Tag: Licenziamento collettivo, Licenziamento

31 Mar 2022

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7400 del 7 marzo 2022, ha statuito che il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, intimato per le stesse ragioni già addotte a fondamento del licenziamento collettivo precedentemente avviato, è nullo in quanto realizza uno schema fraudolento.

I fatti di causa

Un dipendente, licenziato per giustificato motivo oggettivo, impugnava il provvedimento espulsivo dinanzi il Tribunale di Roma perché fondato sugli stessi motivi che avevano originato in precedenza un licenziamento collettivo presso la medesima società.

Il Tribunale adito dichiarava nullo il licenziamento, non avendo la società rispettato gli adempimenti previsti dalla L. n. 223 del 1991, in quanto fondato sulle medesime ragioni del collettivo. In particolare, la società non aveva coinvolto le organizzazioni sindacali né aveva attuato la dovuta comparazione tra la posizione del dipendente licenziato e quella degli altri dipendenti oggetto del licenziamento collettivo.

La società impugnava la sentenza dinanzi la Corte di Appello di Roma che confermava la pronuncia di primo grado, sottolineando, innanzitutto, che le ragioni poste a fondamento delle due tipologie di licenziamento erano sostanzialmente sovrapponibili. Inoltre, la Corte d’Appello osservava che (i) il licenziamento collettivo si era concluso senza esuberi per effetto della totale adesione dei destinatari alla proposta di esodo volontario incentivato e (ii) nell’anno trascorso tra la cessazione della procedura collettiva e il licenziamento impugnato nessun cambiamento era intervenuto presso la società.

Infine, per i giudici d’appello, proprio in assenza di ragioni sopravvenute che avrebbero potuto giustificare il licenziamento individuale, la mancata inclusione del dipendente nella procedura collettiva gli aveva precluso la possibilità di avvalersi del raffronto della sua posizione con quelle dei dipendenti inseriti nel collettivo.

La società datrice di lavoro, dunque, impugnava la sentenza della Corte d’Appello in cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

Investita della questione, la Corte di Cassazione conferma le pronunce dei giudici di merito e, richiamando alcuni precedenti giurisprudenziali, osserva come non sia consentito al datore di lavoro tornare sulle scelte compiute in relazione al numero, alla collocazione aziendale ed ai profili professionali dei lavoratori in esubero, nonché ai criteri di scelta dei singoli lavoratori da estromettere, attraverso ulteriori e successivi licenziamenti individuali la cui legittimità è subordinata alla individuazione di situazioni di fatto diverse da quelle poste a base del licenziamento collettivo (cfr Cass. 16 gennaio 2020, n. 808).

A tal proposito, i Giudici di legittimità ricordano che «realizza uno schema fraudolento ai sensi dell’articolo 1344 del codice civile il licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto per gli stessi motivi già addotti a fondamento di un precedente licenziamento collettivo». Nello specifico, prosegue la Corte, la peculiarità del contratto in frode alla legge consiste nel fatto che «le parti raggiungono, attraverso accordi contrattuali, il medesimo risultato vietato dalla legge. Nonostante il mezzo impiegato sia lecito, è illecito invece il risultato che, attraverso l’abuso del mezzo e la distorsione della sua funzione ordinaria, si vuole in concreto realizzare», come nel caso di specie.

La Corte di Cassazione respinge anche la censura della società per cui non era consentito ai Giudici aditi entrare nel merito delle scelte tecniche organizzative e produttive dell’imprenditore. Al riguardo, per la Corte di Cassazione, la Corte d’appello si è limitata a rilevare la sovrapponibilità delle ragioni poste a fondamento del licenziamento collettivo e di quelle addotte per il licenziamento individuale impugnato, traendo da tale accertamento l’illegittimità del provvedimento espulsivo.

Questa conclusione, secondo la Corte, è sufficiente a dichiarare il licenziamento illegittimo, proprio perché la gestione procedimentalizzata del licenziamento collettivo ha lo scopo di realizzare l’effettivo coinvolgimento del sindacato nelle scelte organizzative dell’impresa vincolando l’imprenditore al loro rispetto anche dopo la chiusura della procedura. Per tale ragione, il datore di lavoro – in un momento successivo alla procedura collettiva – non può riconsiderare quanto comunicato in sede sindacale in relazione al numero, alla collocazione aziendale, ai profili professionali dei lavoratori in esubero nonché ai criteri di scelta dei dipendenti.

In definitiva, a parere della Corte di Cassazione, il licenziamento individuale deve essere fondato su situazioni di fatto diverse da quelle poste a base del licenziamento collettivo.

Altri insight correlati:

Altri insights