Emergenza Covid-19 e obbligo di green pass per accedere ai luoghi di lavoro (Guida al Lavoro de Il Sole 24 Ore, numero 33/34 – Vittorio De Luca, Debhora Scarano)

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29 Lug 2021

Confindustria, con una lettera interna del direttore generale trasmessa via e-mail ai direttori delle associate territoriali e settoriali del sistema, ha espresso la propria linea favorevole al possesso del certificato verde Covid-19 (meglio noto come green pass) per accedere ai contesti aziendali-lavoristici.

Secondo la posizione assunta da Confindustria, l’esibizione del certificato verde dovrebbe rientrare tra gli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede su cui si fonda il rapporto di lavoro. Di conseguenza, il datore di lavoro, ove possibile, potrebbe adibire il lavoratore non vaccinato a mansioni diverse da quelle normalmente esercitate erogando la relativa retribuzione; se ciò non fosse possibile il datore di lavoro dovrebbe poter non ammettere il soggetto al lavoro, con sospensione della retribuzione in caso di allontanamento dall’azienda.

Certamente, un’iniziativa di questo tipo, insieme al protocollo sulla sicurezza aggiornato lo scorso 6 aprile e al protocollo per le vaccinazioni nei luoghi di lavoro sottoscritto in pari data, è finalizzata a tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché lo stesso svolgimento dei processi produttivi. La proposta, tra l’altro, troverebbe ragion d’essere anche a fronte della forte preoccupazione per una possibile terza ondata pandemica che potrebbe condurre a un nuovo arresto del lavoro e alla conseguente necessità di una ennesima proroga degli ammortizzatori sociali “Covid- 19”.

Tuttavia, da un punto di vista prettamente giuridico, la tematica presenta diversi profili di criticità.

Il diritto alla salute costituzionalmente garantito

Anzitutto, nella sfera dei diritti individuali, occorre considerare l’articolo 32 della Costituzione in materia di “diritto alla salute”, il quale rappresenta, in vero, un caleidoscopio di molteplici forme di tutela della salute. L’articolo in parola sancisce in primo luogo che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività», per poi precisare che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge».

La disposizione costituzionale in commento, dunque, tutela la salute sia come diritto fondamentale del singolo che come interesse della collettività e permette di imporre un trattamento sanitario se diretto, come specificato dalla Corte Costituzionale, «non solo a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri» (si veda in tal senso la sentenza n. 5/2018 della Corte Costituzionale).

Giova al riguardo sottolineare che l’articolo de quo contempla una riserva di legge “rinforzata” per cui affinché possa essere imposto un trattamento sanitario, rendendo dunque lo stesso obbligatorio, è anzitutto necessario che vi sia una legge a prevederlo e, inoltre, che tale legge, da un lato, imponga trattamenti sanitari determinati e, dall’altro, non violi in nessun modo i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Dalla riserva di legge “rinforzata” di cui all’articolo 32 della Costituzione, ne deriva che la costituzionalità di una previsione normativa in tal senso, oltre che presupporre la proporzionalità e la ragionevolezza delle conseguenze derivanti dalla decisione assunta, non può che avere quale premessa fondamentale la certezza dei dati scientifici, attestata dalle istituzioni sanitarie nazionali e internazionali competenti, della sicurezza del vaccino.

A tal proposito, non stupisce che nell’attuazione del piano vaccinale consapevolmente e volontariamente il legislatore non sia intervenuto per normare l’eventuale obbligatorietà del vaccino, eccetto per le professioni sanitarie e il personale medico-infermieristico. In effetti, per il momento, con il D.L. n. 105 del 22 luglio 2021, è stato previsto il possesso del certificato verde Covid-19 (in alternativa al test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al virus Sars-CoV-2, con validità di 48 ore dall’esecuzione del test) quale condizione per lo svolgimento di alcune attività per lo più di tipo ricreativo o culturale.

Ciò posto, in assenza di una norma ad hoc che preveda l’obbligo del vaccino per tutti, ci sembrano quanto meno affrettate le considerazioni espresse da alcuni commentatori nei giorni scorsi secondo cui sarebbe legittimo condizionare l’accesso ai locali aziendali all’avvenuta vaccinazione in forza dell’articolo2087 Cod. Civ.; quest’ultima disposizione, come è noto, prevede l’obbligo per il datore di lavoro di “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro“.

La versione integrale dell’approfondimento sarà pubblicata sul prossimo numero 33/34 di Guida al Lavoro de Il Sole 24 Ore.

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