La Corte di Cassazione ha affermato che il datore di lavoro può legittimamente rifiutare non solo l’assunzione di un lavoratore disabile con qualifica che risulti, in base all’avviamento, diversa ma anche quando la qualifica sia “simile”, ossia non corrispondente in modo esatto a quella richiesta. Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 2, L. n. 68/99, la qualifica non deve essere individuata con un’accezione astratta ed indefinita, bensì con un significato concreto, da intendersi come specificazione delle capacità tecnico-professionali richieste per la collocazione lavorativa del soggetto disabile e di cui lo stesso deve essere provvisto. Secondo la S.C., infatti, la ratio legis e la stessa accezione di “avviamento mirato” fanno sì che l’assunzione non possa concretizzarsi se non nell’attinenza ai requisiti richiesti dall’impresa, utilizzando anche come ausilio le previsioni in tema di inquadramento e mansionario contenute nei contratti collettivi applicati (ex art. 10 L. n. 68/99). Pertanto, lo spirito della norma è anche quello di fornire una sorta di garanzia al lavoratore disabile per tutelare la sua integrità psico-fisica, affinché venga rispettato un giusto equilibrio tra le esigenze manifestate dall’azienda e gli interessi del lavoratore medesimo. Perciò, la definizione della qualifica professionale richiesta dal datore di lavoro diventa vincolante e deve trovare piena e compiuta rispondenza nell’atto autorizzativo di avviamento al lavoro.