La Corte di Cassazione, con sentenza n. 20230 del 25 settembre 2014, nell’ambito del giudizio promosso da un dipendente che affermava la nullità del licenziamento irrogato dal datore di lavoro quale culmine di un comportamento ritorsivo e vessatorio, ha precisato i tratti distintivi e peculiari del mobbing. La Suprema Corte precisa che si qualifica come mobbing il comportamento ostile e persecutorio che la vittima subisce da parte dei componenti del gruppo in cui è inserito o da parte del suo responsabile con l’intento di ottenere la sua espulsione dall’ambiente di lavoro. Si tratta di una fattispecie a formazione progressiva che richiede per la sua configurazione una serie ripetuta e protratta nel tempo di atti e di comportamenti vessatori che, valutati complessivamente, risultano diretti a perseguitare la vittima con l’obiettivo primario di emarginarla.