La Corte di Cassazione, con sentenza n. 27933 del 23 novembre 2017, è tornata a decidere sul tema dell’assoggettabilità a contribuzione delle somme corrisposte dal datore di lavoro nell’ambito di un accordo transattivo concluso con il dipendente a margine del rapporto di lavoro. In particolare, secondo la Suprema Corte per valutare se la transazione intervenuta tra le parti sia estranea al rapporto previdenziale è necessario verificare che (i) non sussista uno specifico nesso di corrispettività e (ii) vi sia un titolo autonomo e diverso dal rapporto di lavoro che ne giustifichi la corresponsione. Il caso di specie riguardava il diritto di tre ex dipendenti di una società bancaria di vedersi accreditati dall’Inps i contributi in relazione alle somme percepite in sede di conciliazione all’esito di un pregresso contenzioso. La Corte d’Appello di Roma aveva riformato la sentenza di primo grado, accogliendo il ricorso dell’INPS, e aveva sancito la non assoggettabilità di tali somme all’imposizione contributiva in quanto non collegate ad una funzione di corrispettivo ai sensi dell’art. 12 della L. 153/1969 così come modificato dall’art. 6 del D.lgs. 314/1997. La Corte di Cassazione, chiamata a decidere sul punto, si è allineata al consolidato orientamento in base al quale in tema di obblighi previdenziali, qualora sia intervenuta una conciliazione giudiziale riconducibile al rapporto di lavoro sottostante, il negozio transattivo stipulato tra le parti ha efficacia novativa, costituendo l’unica ed originaria fonte dei diritti e degli obblighi successivi alla risoluzione del rapporto. Pertanto a parere della Corte diventa essenziale comprendere quando le somme versate a titolo di transazione siano ricollegabili direttamente al rapporto di lavoro, e quando invece traggano origine e causa direttamente dall’accordo transattivo.