La Corte di Cassazione, con sentenza del 15 marzo 2016, n. 5056, ha statuito che la determinazione del luogo della prestazione lavorativa rientra nella potestà organizzativa del datore di lavoro ed incontra un limite solo nella disciplina dettata in materia di trasferimento del dipendente. Nel caso di specie la Corte d’Appello territorialmente competente confermava la decisione di primo grado di rigetto del ricorso presentato da una lavoratrice che si era opposta alle direttive datoriali di non eseguire più la propria prestazione dal domicilio bensì presso i locali aziendali, ritenendole disposte in violazione dell’art. 2013 cod. civ. La Corte di Cassazione, nel confermare la decisione dei giudici di merito, ha osservato che nel caso de quo l’ordine aziendale di mutare il luogo della prestazione è legittimo e, quindi, la lavoratrice non può fondatamente dolersi di un aggravio della prestazione conseguente al mutamento del luogo di svolgimento della stessa. Ciò in quanto, aderendo ad un precedente orientamento giurisprudenziale, la Corte ha concluso che, nella fattispecie in esame, le previsioni dettate in materia di trasferimento “non sono suscettibili di venire in rilievo in ragione della impossibilità di ravvisare una autonoma unità produttiva presso il domicilio del dipendente“.