La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14193 del 12 luglio 2016, ha confermato che non si applica al dirigente licenziato per motivi economici l’obbligo di repêchage all’interno di un gruppo. Nel caso esaminato un dirigente adiva l’autorità giudiziaria poiché, a suo dire, il licenziamento intimatogli dalla filiale italiana di una multinazionale americana doveva intendersi illegittimo, benché sussistenti le ragioni economiche poste a fondamento. Il dirigente, a sostegno della sua eccezione, evocava le garanzie ricevute dalla capogruppo, all’atto dell’assunzione, circa la sua ricollocazione all’interno del gruppo una volta decaduto dall’incarico. In prima istanza il tribunale accoglieva la tesi del dirigente che poi veniva rifiutata dal giudice del gravame ed, infine, dalla Cassazione. Quest’ultima, in particolare, ha ribadito il principio di diritto secondo il quale l’obbligo di repêchage «va escluso nei confronti del dirigente in quanto incompatibile con tale posizione dirigenziale assistita da un regime di libera recidibilità senza che possano essere richiamati i principi elaborati dalla giurisprudenza per la diversa ipotesi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo del non dirigente». In sostanza il datore di lavoro che recede dal rapporto di lavoro in essere con il proprio dirigente per motivi economici (purché reali) non deve dimostrare l’assenza di posizioni alternative a cui avrebbe potuto adibirlo.