La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza n. C-422/14 dell’11 novembre 2015, è intervenuta su due punti centrali della direttiva europea sui licenziamenti collettivi (98/59/CE). Nella specie (i) il criterio di computo della dimensione aziendale che rende applicabile la disciplina sui licenziamenti collettivi e (ii) la nozione di licenziamento utile a determinare la soglia numerica oltre la quale è necessario applicare la normativa sui licenziamenti collettivi. Quanto al primo punto, la Corte osserva che, ai fini del calcolo dell’organico per l’applicazione della normativa sui licenziamenti collettivi, tra i “lavoratori abitualmente occupati” rientrano i lavoratori a tempo determinato. Quanto al secondo punto, la Corte stabilisce che nel computo dei cinque licenziamenti rientra “qualsiasi cessazione del contratto di lavoro non voluta dal lavoratore e, quindi, senza il suo consenso”, includendovi anche le dimissioni rassegnate dal lavoratore a causa di modifiche unilaterali apportate dal datore di lavoro ad un elemento essenziale del rapporto per ragioni che esulano dalla sua persona. L’impatto sull’ordinamento italiano di tale sentenza sarà attenuato con riferimento al primo punto, avendo il Jobs Act previsto che nel computo dei dipendenti – ai fini dell’applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale – si deve tener conto dei lavoratori a tempo determinato, applicando uno specifico criterio di calcolo (art. 27 D.Lgs. 81/2015). Notevoli, invece, potrebbero essere le ripercussioni riguardanti il secondo punto, poiché nel nostro ordinamento le dimissioni, anche se supportate da “giusta causa”, sono sempre state escluse dal computo della soglia numerica per l’applicazione della citata normativa.