La Corte di giustizia Ue ha obbligato l’Italia ad aumentare l’età della pensione di vecchiaia delle donne nel pubblico impiego, per parificarla, dal 2012, a quella degli uomini. Dalla stessa Corte arriva ora la leva per omologare, per uomini e donne che lavorano nel privato, i requisiti per il trattamento di vecchiaia. Per la Corte, infatti, non è ammessa la discriminazione in base al sesso per quanto riguarda i requisiti anagrafici della pensione di vecchiaia. La prospettiva dei giudici europei (causa C-356/09, relativa all’Austria – caso Kleist) è quella di escludere differenti trattamenti nell’ambito della procedura di licenziamento. Non si può consentire, per ridurre il personale, di chiudere il rapporto di lavoro con quanti compiono l’età della vecchiaia a 60 anni: in questo caso le donne hanno un anticipo di cinque anni rispetto agli uomini. La sentenza, a differenza di quella del 2008 sul pubblico impiego, non produrrà effetti automatici nel nostro Paese. Tuttavia, si tratta di un’opzione offerta al legislatore per intervenire, di nuovo, nel cantiere delle pensioni.