La sezione Lavoro del Tribunale di Bologna, con sentenza ex art. 1 della Legge n. 92/2012 n. 734 del 7 luglio 2017, confermando l’ordinanza emessa nella fase sommaria, ha dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un dipendente per essersi assentato da lavoro per un periodo continuativo di 3 settimane, senza aver rispettato la necessaria procedura autorizzatoria esistente in azienda. In particolare, il lavoratore nel corso del mese di giugno 2015, attenendosi alla prassi aziendale, richiedeva ed otteneva un periodo di ferie continuativo di 3 settimane. Il lavoratore organizzava, altresì, un secondo periodo di ferie continuative, sempre di 3 settimane cadenti nel successivo mese di settembre, limitandosi ad informare il Responsabile di Produzione di questa ulteriore necessità. Il Responsabile di Produzione dava il proprio assenso, invitandolo, però, a compilare i moduli autorizzativi per la definitiva approvazione del piano ferie da parte dell’Amministratore Delegato. Il dipendente non si atteneva alla prassi aziendale e solo agli inizi del mese di settembre 2015 comunicava verbalmente la sua assenza all’Amministratore Delegato, che gli negava il periodo di ferie avendo già fruito di tutti permessi/ferie a sua disposizione. Ciononostante lo stesso decideva di assentarsi per il periodo comunicato. Al rientro in servizio, veniva azionato nei suoi confronti un procedimento disciplinare che si concludeva proprio con il suo licenziamento per giusta causa. Licenziamento che il dipendente impugnava giudizialmente, invocando, tra le altre, la sua natura discriminatoria poiché l’assenza era collegabile ad un pellegrinaggio prescritto dalla propria religione. Il Tribunale adito, nel rigettare il ricorso ha osservato che il lavoratore con la sua condotta aveva consapevolmente violato le procedure e le direttive aziendali, dimostrando di non voler tener conto del potere aziendale di organizzazione e direzione del lavoro. Secondo il Tribunale il lavoratore, così facendo, ha irrimediabilmente leso il rapporto di fiducia che sottende un normale rapporto di lavoro, ritenendo, oltretutto, ultronea e fuorviante la deduzione circa la natura discriminatoria del licenziamento in esame.