La Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, con sentenza 13534 del 20 maggio 2019, ha dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa irrogato ad una dipendente che aveva reagito ad uno schiaffo inferto da una collega.
I fatti e i precedenti gradi di giudizio
Una dipendente, addetta alle vendite, reagendo a uno schiaffo inferto da una collega, era venuta alle mani con la stessa alla presenza della clientela. La società, sua datrice di lavoro, aveva così azionato nei suoi confronti un procedimento disciplinare che si era concluso con un licenziamento per giusta causa.
Il Tribunale di Sassari adito dalla dipendente licenziata aveva ritenuto illegittimo il recesso, in quanto la stessa si era difesa da un precedente schiaffo ricevuto.
La Corte di Appello di Cagliari, in riforma della sentenza di primo grado, aveva dichiarato legittimo il recesso de quo poiché la lavoratrice, conoscendo il carattere violento ed aggressivo della collega, aveva volontariamente creato la situazione di pericolo, intimandole, alla presenza di altri colleghi e clienti, di comportarsi in un determinato modo.
La decisione della Corte di Cassazione
Avverso la decisione della Corte di Appello, la lavoratrice ricorreva dinanzi la Corte di Cassazione, denunziando la violazione dell’art. 2219 cod. civ. e dell’art. 229 del Contratto Collettivo Nazionale di lavoro per i Dipendenti del Settore Terziario.
A parere della lavoratrice, il “diverbio litigioso seguito da vie di fatto in servizio anche fra dipendenti, che comporti nocumento o turbativa al normale esercizio dell’attività” previsto dal predetto art. 229 non potrebbe condurre al licenziamento laddove, come nel caso di specie, la condotta sia giustificata da una reazione all’altrui aggressione.
Sul punto la Corte di Cassazione ha affermato che “la contrattazione collettiva non vincola in senso sfavorevole il dipendente”. Anche quando si riscontri la corrispondenza del comportamento del lavoratore alla fattispecie tipizzata contrattualmente come ipotesi che giustifica il licenziamento disciplinare, “deve essere effettuato (…) un accertamento in concreto – da parte del giudice di merito – della reale entità e gravità del comportamento del lavoratore, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo” (v., tra molte, Cass. n. 8826/2017; Cass. n. 10842/2016 etc.)
Sempre secondo la Corte, “l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha valenza meramente esemplificativa, sicché non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all’idoneità di un grave inadempimento (…) a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore” (Cass. n. 2830/2016; Cass n. 4060/2011 etc.).
All’opposto, invece, “la contrattazione collettiva vincola in senso favorevole al dipendente”. Infatti, il giudice, ove le previsioni del contratto collettivo siano più favorevoli al lavoratore – nel senso che la condotta addebitata allo stesso è contemplata tra le infrazioni sanzionabili con una misura conservativa – non può ritenere legittimo il recesso. Ciò in quanto si deve “attribuire prevalenza alla valutazione di minore gravità di quel peculiare comportamento, come illecito disciplinare di grado inferiore”
Alla luce di quanto sopra, a parere della Suprema Corte, la Corte di Appello ha correttamente effettuato una valutazione in concreto degli elementi di fatto, ritendo che la condotta della lavoratrice volta a provocare la collega non è paragonabile a quella della lavoratrice che si limiti a reagire all’altrui aggressione. Di conseguenza, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della lavoratrice confermando la legittimità del licenziamento intimatole.