La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13676 del 5 luglio 2016, ha confermato il principio di diritto già espresso con sentenza del 10 febbraio 2015, n. 2550, in forza del quale ai fini della legittimità del licenziamento per giusta causa non è necessario che il lavoratore abbia posto in essere comportamenti espressamente vietati, bensì, risulta sufficiente che lo stesso abbia tenuto “qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze, risulti in contrasto con gli obblighi connessi al suo inserimento nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa, dovendosi integrare l’art. 2105 c.c. con gli artt. 1175 e 1375 c.c., che impongono l’osservanza dei doveri di correttezza e di buona fede anche nei comportamenti extra lavorativi, sì da non danneggiare il datore di lavoro”. In particolare, nel caso esaminato dalla Suprema Corte, il lavoratore era stato licenziato per giusta causa poiché, nel periodo di assenza per malattia, aveva assunto una condotta imprudente per la sua salute. La Corte di Cassazione, dunque, ha fatto corretta applicazione, nella fattispecie concreta, dei principi generali in tema di esecuzione del contratto e comportamento delle parti del rapporto obbligatorio.