La Corte di Cassazione, con sentenza n. 17062 dell’11 agosto 2016, ha stabilito che la comunicazione di licenziamento effettuata a mezzo lettera raccomandata, anche se rifiutata dal destinatario, si deve ritenere conosciuta. Secondo la Corte, infatti, “l’annotazione dell’agente postale sull’avviso di ricevimento, dalla quale risulti il rifiuto senza ulteriore specificazione circa il soggetto, destinatario oppure persona diversa abilitata a ricevere il plico, che ha in concreto opposto il rifiuto, può legittimamente presumersi riferita al rifiuto di ricevere il plico o di firmare il registro di consegna opposto dal destinatario, con conseguente completezza dell’avviso e, dunque, legittimità e validità della notificazione”. Ciò in quanto la legge (i.e. art. 6, L. n. 604/1966) esige che il datore di lavoro debba comunicare il licenziamento per iscritto ma non prescrive l’utilizzo di formule sacramentali, essendo sufficiente che esso sia portato a conoscenza del lavoratore. La Corte ha, così, escluso l’applicabilità alla lettera raccomandata – contenente il licenziamento – della normativa prevista per la notificazione degli atti giudiziari che presuppone la necessaria indicazione, da parte dell’agente postale, di colui che rifiuta il plico il quale, se soggetto non abilitato al ricevimento, esclude la presunzione di accettazione.