La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n.131/2017, nel confermare la decisione di primo grado, ha affermato che nei licenziamenti collettivi non esiste in capo al datore di lavoro alcun obbligo di repêchage. Ciò in quanto quest’ultimo è un elemento appartenente al licenziamento per giustificato motivo oggettivo per il quale il datore di lavoro ha l’onere di provare di aver valutato la possibilità di ricollocare il lavoratore, eventualmente anche in mansioni inferiori, al fine di evitare la risoluzione del rapporto di lavoro. Pertanto, a parere della Corte d’Appello, detto elemento nulla può avere a che fare con l’eventuale impegno assunto dal datore di lavoro in sede di accordo sindacale sottoscritto nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo (come nel caso di specie), volto a favorire la ricollocazione dei lavoratori coinvolti. Questo impegno datoriale, sempre secondo la Corte d’Appello, ha «natura meramente contrattuale» e la sua eventuale inosservanza non costituisce una violazione dei criteri di scelta o della procedura stessa. Essa rappresenta solo un’obbligazione contrattuale, la cui eventuale violazione non può comportare l’applicazione delle tutele di cui all’art. 18, L. 300/1970, potendo al più legittimare una richiesta risarcitoria (non formulata nel caso esaminato).