Con comunicato del 26 settembre 2018 la Consulta ha annunciato di aver dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 3 del D.Lgs. 23/15 (“Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”) nella parte – non modificata dal D.Lgs. 87/2018 (cd. decreto Dignità) convertito nella L. 96/2018 – in cui determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato. Ciò in quanto, si legge sempre nel comunicato, la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore “è contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione”. Nelle more della pubblicazione della sentenza, il Tribunale di Bari, con l’ordinanza n. 7016 dell’11 ottobre 2018 in commento, ha deciso di disapplicare il criterio di quantificazione dichiarato incostituzionale.
La decisione del Giudice del Lavoro
Il Giudice del Lavoro di Bari, nell’accertare l’illegittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore in regime di Jobs Act all’esito della procedura di licenziamento collettivo, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro, condannando la società ex datrice di lavoro ad un’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto contro le 4 cui lo stesso avrebbe avuto diritto, avendo un’anzianità di servizio di 1 anno e mezzo.
In particolare, il Giudice, nel giungere a siffatta decisione, ha evidenziato che:
– secondo l’art. 10 del D.Lgs. 23/2015 “(…) In caso di violazione delle procedure richiamate all’articolo 4, comma 12, o dei criteri di scelta di cui all’articolo 5, comma 1, della legge n. 223/1991, si applica il regime all’articolo 3, comma 1”;
– l’art. 3, comma 1, del D.Lgs 23/2015 enuncia quanto segue: “Salvo quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità”;
– per i lavoratori che soggiacciono al regime di cui alla Legge Fornero, per l’inosservanza delle procedure in esame è prevista la tutela “indennitaria forte” di cui all’art. 18, comma 7 terzo periodo, della L. 300/1970 che a sua volta rinvia al comma 5 del medesimo articolo. Nello specifico (i) il comma 7 dispone che: “nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni” ed (ii) il comma 5 statuisce che “Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo”). Tutela questa, infatti, invocata dal lavoratore nelle conclusioni rassegnate nel proprio ricorso;
– nei confronti del lavoratore, essendo stato assunto in regime di Jobs Act, è indubbio che trovi applicazione la disciplina dettata dal D.Lgs. 23/2015 ma non la novella del Decreto Dignità, che ha da ultimo modificato l’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 23/20105, elevando la misura dell’indennità risarcitoria (ora compresa fra sei e trentasei mensilità). Ciò in quanto il licenziamento impugnato è stato intimato in epoca antecedente alla sua entrata in vigore.
A parere del Giudice, quindi, il lavoratore avrebbe potuto aspirare unicamente alla corresponsione dell’indennità minima pari a 4 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. Ciononostante, sempre secondo il Giudice, non può non darsi atto della decisione della Corte di Costituzionale.
In considerazione di tutto quanto sopra esposto, il Giudice così conclude “pur nella consapevolezza che “Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione” (art. 30 co. 3 l. 87/1953, in ossequio all’art. 136 co. 1 Cost.), e che tale pubblicazione nella specie non è ancora avvenuta, si ritiene di dover interpretare in maniera costituzionalmente orientata l’art. 3 co. 1 ancora (presumibilmente per pochi giorni) vigente, determinando l’indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato, compresa fra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità, sulla base dei criteri già enunciati dall’art. 18 co. 5 St. Lav., a sua volta richiamato dall’art. 18 co. 7, vale a dire “in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti”.
E proprio nel determinare in 12 mensilità l’indennità risarcitoria dovuta al lavoratore il Giudice ha considerato, oltre il criterio dell’anzianità di servizio dello stesso, criteri quali (i) la considerevole gravità dell’omissione procedurale (nell’ambito di un licenziamento collettivo), (ii) il basso numero di dipendenti impiegato presso la società e (iii) le dimensioni della sua attività economica.