Incisività dei poteri deferiti agli organi di vigilanza contro l’uso distorto del distacco transfrontaliero. Lo scorso 22 luglio è entrato in vigore il decreto legislativo n. 136/16 che, in attuazione della direttiva UE 67/2014, ha ridefinito la disciplina del distacco transfrontaliero con il fine dichiarato di contrastarne l’utilizzo abusivo.
Il decreto legislativo valorizza la cooperazione tra gli Stati nell’accertamento dell’autenticità dei presupposti del distacco. Il campo di applicazione della nuova disposizione risulta estremamente ampio,in quanto il legislatore ha inteso intervenire in pressoché tutte le ipotesi note di distacco irregolare. La normativa, si applica alle imprese presenti all’interno dell’UE che distaccano uno o più lavoratori in Italia, comprese le agenzie di somministrazione di lavoro, nonché ai casi di mobilità cosiddetta interna, realizzata nei gruppi societari. Il potente meccanismo sotteso al decreto, diretto a contrastare l’impiego delle c.d. “triangolazioni abusive di personale”, si basa su un insieme di poteri d’iniziativa deferiti agli organi di vigilanza. Questi ultimi, infatti, possono intraprendere indagini ispettive pervadenti, comprensibili d’essere riassunte in due differenti macro aree a seconda che si stia valutando ontologicamente l’impresa o precipuamente il singolo lavoratore: nel primo caso si potrebbe parlare di valutazioni “oggettive” facente capo alle specifiche connotazioni dell’impresa.
Nel secondo caso, invece, di valutazioni ‘soggettive’, indirizzate a vagliare le caratteristiche del singolo lavoratore distaccato.
Con riferimento ai profili “oggettivi” il decreto contempla forme di controllo di vario tipo. Si tratta di indagini volte a verificare: il luogo in cui l’impresa ha la propria sede legale – amministrativa e ove è registrata; il luogo ove i lavoratori sono assunti e quello da cui sono distaccati; la disciplina applicabile ai contratti conclusi dall’impresa distaccante; il numero dei contratti eseguiti o l’ammontare del fatturato realizzato dall’impresa nello Stato membro di stabilimento; il luogo in cui l’impresa esercita la propria attività economica principale, nonché quello in cui risulta occupato il suo personale amministrativo. Per ciò che attiene ai profili “soggettivi” atti a verificare la liceità del distacco, si terrà conto di vari indici, quali: contenuto, natura e modalità di svolgimento dell’attività lavorativa; retribuzione del singolo; la circostanza che lo stesso eserciti abitualmente la propria attività nello Stato da cui è stato distaccato; la data di inizio del distacco; se il lavoratore sia tornato o si prevede che torni a prestare la propria attività nello Stato membro distaccatario ed infine se quest’ultimo o altri lavoratori in passato abbiano ivi svolto la medesima attività.
Entrambe le macro aree prevedono una clausola generale che dispone che gli organi di vigilanza potranno tener conto di “ogni altro elemento utile alla valutazione complessiva”.
Qualora, a seguito delle verifiche, il distacco dovesse risultare non autentico, il lavoratore verrà considerato alle dipendenze del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, prevedendosi inoltre sanzioni pecuniarie non inferiori a 5.000 euro né superiori a 50.000 euro. Sono persino previste sanzioni di natura penale sia in capo al distaccante che in capo alla distaccataria qualora si palesino ipotesi di sfruttamento di minori.
Di rilevante importanza, inoltre, quanto previsto dall’art. 10 della normativa. La stessa impone all’impresa che distacca lavoratori in Italia di dar notizia del distacco al Ministero del lavoro e delle politiche sociali entro le 24 del giorno antecedente l’inizio dello stesso, dovendo comunicare le successive modificazioni entro 5 giorni.L’impresa deve, infine, nominare un referente con poteri di rappresentanza per tenere i rapporti con le parti sociali interessate a promuovere la negoziazione collettiva di secondo livello, con sanzioni pecuniarie ingenti in caso d’inottemperanza agli obblighi di informativa di cui al suddetto articolo 10, passibili d’essere punite con sanzioni amministrative pecuniarie da Euro 150 a 500 per ogni lavoratore interessato.