La sezione lavoro del tribunale di Milano, con due sentenze contrastanti, affronta il tema delle conseguenze derivanti dall’indicazione della causale in un contratto a termine, nonostante non sia più richiesta.
Il caso esaminato nella sentenza 829/2015 riguarda una lavoratrice assunta con contratto a tempo determinato, successivamente prorogato. Il contratto prevedeva espressamente che l’assunzione fosse da ricondursi a «ragioni di carattere organizzativo relative all’incremento delle vendite», nonostante lo stesso fosse stato stipulato dopo l’entrata in vigore del Dl 76/2013 che ha escluso le causali per contratti di durata non superiore a 12 mesi inclusivi di proroga.
La lavoratrice ha fatto ricorso al tribunale per ottenere: la dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto per genericità delle ragioni, peraltro non corrispondenti alla realtà dei fatti, nonché della proroga del contratto; la conversione dello stesso a tempo indeterminato; la condanna della convenuta alla corresponsione dell’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità.
All’esito della discussione della causa il giudice ha concluso per l’accoglimento della domanda della ricorrente. Aderendo a un precedente giurisprudenziale (tribunale di Milano, sentenza 3211/2013), il giudice ha ribadito che se le motivazioni, nonostante non più richieste, sono indicate, a quel punto si deve applicare la disciplina del contratto a termine causale.
Per tale ragione il tribunale, accertato che la causale indicata nel contratto non corrispondeva a realtà, ha dichiarato la nullità del termine, ordinando la riammissione in servizio e condannando il datore al pagamento dell’indennità nella misura di 10 mensilità.
A conclusioni opposte è arrivato lo stesso tribunale di Milano con sentenza 817/2015. In questo caso, infatti, il giudice ha respinto il ricorso di un lavoratore, assunto con contratto a tempo determinato, che lamentava la nullità del termine per genericità e indeterminatezza della causale.
Il datore di lavoro si costituiva assumendo che il contratto doveva ritenersi legittimo essendo ormai consentita la stipula di contratti a termine senza necessità di causali e dovendo essere, in ogni caso, l’indicazione delle ragioni giustificatrici connotata da determinatezza e congruità.
Secondo il giudice « l’indicazione delle ragioni… avrà certamente natura pleonastica e sovrabbondante e l’insufficiente specificazione delle ragioni non potrà costituire valido motivo di impugnazione del termine».
Per tali ragioni, essendo il contratto a tempo determinato stipulato successivamente all’entrata in vigore del Dl 76/2013, il giudice ha ritenuto irrilevanti le censure formali alle ragioni di apposizione del termine e, conseguentemente, infondata la domanda.
Nonostante la palese dicotomia interpretativa riscontrabile nelle prime sentenze di merito, si deve presumere che il contrasto giurisprudenziale sarà circoscritto ai contratti a termine stipulati prima dell’entrata in vigore del Dl 78/2014. Da tale momento, infatti, la totale eliminazione (per tutti i contratti, indipendentemente dalla loro durata) della causale induce a escludere che le parti decidano di inserire nel testo contrattuale le ragioni di apposizione del termine, eliminando così questa fonte di contenzioso.
Fonte:
Il Sole 24 Ore
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