È ricorrente il dibattito sull’attendibilità delle testimonianze di familiari, potendosi ritenere esistente e influente un loro interesse personale per l’esito del giudizio nel quale siano chiamati a deporre.
In questo senso, la Suprema Corte è tornata ad affrontare il tema con la sentenza n. 2295 del 2 febbraio 2021, avendo avuto modo di ribadire che, in tema di prova testimoniale, non esiste alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone che abbia con una delle parti processuali un vincolo di parentela o coniugale, non potendo l’attendibilità del testimone essere esclusa aprioristicamente, senza altri elementi da cui il giudice possa desumere una qualche forma di perdita di credibilità.
Questo principio è stato ribadito dalla Corte nel giudizio di impugnazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano che (in linea con la decisione del primo grado) aveva confermato il diritto di una lavoratrice a differenze retributive e contributive, accertato sulla base di prove testimoniali ammesse dal giudice con espressa esclusione di soggetti parenti o affini alle parti, ritenendo ricorrere “maggiore attendibilità dei soggetti estranei alla sfera familiare delle contendenti”.
Parte datoriale proponeva ricorso per Cassazione adducendo, tra i motivi di censura, il vizio incorso dal giudice di prime cure “nella parte in cui ha ridotto la lista testimoniale della ricorrente, escludendo dalla stessa le persone legate alla parte”.
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