La controversa comunicazione per iscritto del licenziamento non può essere provata in via testimoniale, secondo la Cassazione n. 26532/2022. Di conseguenza, il licenziamento risulta nullo per difetto della forma prevista ex lege
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 26532 del 8 settembre 2022, afferma che il potere attribuito al giudice del lavoro di ammettere d’ufficio ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal Codice Civile, non può riguardare anche il requisito di forma scritta previsto ad substantiam per la lettera di licenziamento. Non è consentita, infatti, la prova testimoniale di un contratto o di un atto unilaterale di cui la legge preveda la forma scritta a pena di nullità. Per la sentenza, fa eccezione a detta regola generale solo l’ipotesi prevista dall’art. 2724 n. 3 c.c., riguardante il caso in cui il documento sia andato perduto senza colpa. Secondo i Giudici di legittimità, questo comporta, dunque, un divieto di testimonianza che – attenendo a norma di ordine pubblico – ne comporta l’inammissibilità rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
La normativa di riferimento
Al riguardo, prima di esaminare nel dettaglio la sentenza in commento e vedere come la stessa si colloca nel panorama giurisprudenziale di riferimento, appare utile soffermarsi brevemente sulle disposizioni normative applicabili al caso di cui si discute.
In deroga al principio generale della libertà di forma, l’ordinamento impone al datore di lavoro una serie di obblighi di tipo formale-procedurale e sostanziale. Come è noto, il licenziamento deve essere comunicato per iscritto e la comunicazione deve contenere la specificazione dei relativi motivi. Ciò è prescritto dall’art. 2 della Legge n. 604/1966, come modificata nel 1990 e dalla c.d. Legge Fornero. La normativa invece non richiede che si utilizzino forme sacramentali, purché la volontà risulti comunque chiara ed univoca.
Pertanto, per la comunicazione del licenziamento è richiesta la forma scritta ad substantiam e trattandosi di atto unilaterale recettizio per produrre effetti deve pervenire al lavoratore (art. 1334 cod. civ.), presumendosi la conoscenza realizzata al momento della consegna all’indirizzo del destinatario, salvo la prova di una incolpevole impossibilità di effettiva conoscenza (art. 1335 cod. civ.).
La comunicazione del licenziamento può avvenire altresì con la consegna a mano all’interno del luogo di lavoro, ritenendosi la stessa effettuata anche a fronte del rifiuto del lavoratore di riceverla. A tal riguardo, secondo la Corte di Cassazione “In tema di consegna dell’atto di licenziamento nell’ambito del luogo di lavoro, il rifiuto del destinatario di riceverlo non esclude che la comunicazione debba ritenersi regolarmente avvenuta, trattandosi di un atto unilaterale recettizio che non sfugge al principio generale per cui il rifiuto della prestazione da parte del destinatario non può risolversi a danno dell’obbligato ed alla regola della presunzione di conoscenza dell’atto desumibile dall’art. 1335 c.c.” (Cass. n. 21017/2012).
Ai sensi dell’art. 2725 cod. civ., rubricato “Atti per i quali è richiesta la prova per iscritto o la forma scritta”, quando, secondo la legge o la volontà delle parti, un contratto deve essere provato per iscritto, la prova per testimoni è ammessa soltanto nel caso indicato dal n. 3 dell’art. 2724 cod. civ..
La stessa regola si applica nei casi in cui la forma scritta è richiesta sotto pena di nullità.
Secondo l’art. 2724, n. 3, cod. civ., la prova per testimoni è ammessa in ogni caso “quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova”.
In tale contesto, si colloca poi l’art. 421 comma 2, prima parte, secondo il quale il Giudice del lavoro “Può altresì disporre d’ufficio in qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile”.
Il fatto affrontato e l’esito dei giudizi di merito
La Corte d’Appello di Firenze ha respinto il reclamo proposto dalla società datrice di lavoro avverso la sentenza del Tribunale di Firenze che aveva dichiarato l’inefficacia del licenziamento intimato ad una dipendente in forma orale in data 8 settembre 2017, con ordine di reintegrazione del medesimo nel posto di lavoro e condanna al risarcimento del danno mediante pagamento di un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, detratto l’aliunde perceptum, ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, oltre accessori;
La Corte territoriale ha confermato la sentenza del Tribunale, che a sua volta aveva sostanzialmente confermato l’ordinanza resa in esito alla fase sommaria, per non avere la società provato, come era suo onere, di avere adempiuto con la forma scritta richiesta ad substantiam, e non essendo ammissibile la prova testimoniale – pur assunta in primo grado – sul punto.
A tal riguardo, il giudice di secondo grado ha osservato in particolare che, in fatto, non era controverso che la lavoratrice, inquadrata come dirigente, fosse stata licenziata in occasione di una riunione tenutasi nei locali aziendali in data 8 settembre 2017, alla presenza dell’amministratore delegato e di due dipendenti, essendo invece controverse sia la forma scritta del recesso datoriale sia la modalità della sua comunicazione.
Applicando i principi espressi nella sentenza della Corte di Cassazione n. 11479/2015, precedente ritenuto particolarmente significativo data la coincidenza dei tratti salienti delle questioni di fatto (licenziamento che il lavoratore impugna come orale, mentre parte datoriale sostiene essere stato intimato per iscritto per avvenuta consegna a mani proprie di una lettera, circostanza da provare per testi), la Corte di Appello ha rilevato che, qualora a monte sia contestato che al momento dell’estromissione il lavoratore abbia ricevuto la consegna di una lettera di licenziamento, tale modalità di comunicazione non può essere oggetto di prova orale perché, altrimenti, la testimonianza conterrebbe inevitabilmente al suo interno la prova orale dell’esistenza scritta di un atto per il quale la forma è richiesta ad substantiam, e che il divieto di prova orale stabilito dall’art. 2725 c.c. su atti di cui la legge prevede la forma scritta a pena di nullità non è superabile con l’esercizio dei poteri istruttori del giudice del lavoro.
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