La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 25287 del 24 agosto 2022, si pronuncia sul tema dei controlli a distanza effettuati dal datore di lavoro e, nel ribadire i principi di diritto più volte affermati dalla Suprema Corte, coglie l’occasione per tracciare nuovamente il perimetro entro il quale il datore di lavoro può richiedere l’intervento di un’agenzia investigativa. Per i Giudici di legittimità il datore di lavoro può richiedere l’intervento di un’agenzia investigativa solo nell’ipotesi in cui siano stati perpetrati degli illeciti o vi sia un sospetto che degli illeciti siano in corso di esecuzione
Il fatto affrontato e l’esito dei giudizi di merito
La fattispecie sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione riguarda il caso di un dipendente, la cui attività lavorativa era connotata da una certa flessibilità riguardo all’orario e alla sede di svolgimento dell’attività.
Nello specifico, al lavoratore era stato contestato di essersi allontanato dal luogo di lavoro, in orario lavorativo, per compiti estranei al suo inquadramento professionale, essendo stati registrati, mediante controlli effettuati da agenzia investigativa, incontri estranei all’area o sede di lavoro (supermercati e palestre), non connessi all’attività lavorativa, in luoghi distanti anche decine di chilometri dalla sede di lavoro. Per questa ragione in seguito il lavoratore veniva licenziato.
Il dipendente impugnava giudizialmente il licenziamento irrogatogli per l’appunto per essersi allontanato dalla sede di adibizione, in orario lavorativo, per compiti estranei al suo inquadramento professionale.
Il giudice di prime cure e la Corte di Appello di Roma ritenevano legittimi i controlli effettuati mediante agenzia investigativa – avuto riguardo alla posizione del lavoratore, dipendente di una banca, nell’ambito di un rapporto richiedente un più rigoroso rispetto dell’obbligo di fedeltà e dei correlati canoni di diligenza e correttezza, nonché in relazione alla circostanza che le investigazioni che avevano interessato il lavoratore erano sorte nell’ambito della più ampia indagine avente ad oggetto la violazione dei permessi ai sensi dell’art. 33 delle Legge n. 104/92 da parte di un collega, con la quale il ricorrente era stato ripreso più volte.
La Corte territoriale riteneva infondati, inoltre, i rilievi attinenti al mancato rispetto dell’obbligo di consegna della documentazione richiesta dal lavoratore e all’intempestività della contestazione dell’addebito.
Il ricorso in Cassazione
Il lavoratore impugnava la decisione, ricorrendo per Cassazione, sulla base di quattro motivi di doglianza. Per quel che ci interessa, in questa sede ci soffermiamo sui primi tre motivi.
Precisamente, con il primo motivo il lavoratore ha dedotto, ex art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 4 della Legge n. 300/1970 (“Statuo dei lavoratori”) in relazione al controllo della prestazione lavorativa mediante agenzia investigativa esterna, osservando che detto controllo deve limitarsi agli atti illeciti non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione da parte del lavoratore, non potendo sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata dall’art. 3 dello Statuto dei lavoratori al controllo diretto del datore di lavoro e dei suoi collaboratori.
Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto omesso esame di un fatto decisivo in relazione al controllo illegittimo della prestazione lavorativa mediante agenzia investigativa esterna, nonché in merito alla condizione lavorativa, avendo la Corte d’appello omesso di considerare che gli informatori di parte datoriale avevano ricevuto l’incarico di verificare la prestazione lavorativa ed avevano controllato il lavoratore ben oltre il normale orario di lavoro, verificando analiticamente le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 24 Cost. e 7 Legge n. 300/70, evidenziando la violazione del diritto di difesa del lavoratore e il mancato rispetto delle garanzie imposte dallo Statuto dei lavoratori, avendo la Corte d’appello omesso di ammettere la produzione della documentazione richiesta dal ricorrente, consistente nel fascicolo personale, nelle attestazioni annuali di valutazione di profitto, nelle schede di presenza da settembre 2015 a luglio 2016, nel mandato sottoscritto con l’agenzia investigativa.
I principi giuridici richiamati dalla Corte di Cassazione
La Cassazione ricorda, preliminarmente, la portata degli artt. 2 e 3 della Legge n. 300/1970, i quali delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell’attività lavorativa (art. 3).
A tal riguardo, i Giudici di legittimità rilevano che è stato più volte affermato dalla Suprema Corte che le norme sopra citate non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti esterni, come nel caso di specie un’agenzia investigativa, ancorché il controllo non possa riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta a tale vigilanza (tra le tante Cassazione n. 15094 del 11 giugno 2018).
Il controllo esterno, quindi, deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione (in questi termini, si veda Cassazione n. 9167 del 7 giugno 2003).
La Suprema Corte spiega che tale principio è stato costantemente ribadito, affermandosi che le agenzie investigative per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, dall’art. 3 dello Statuto dei lavoratori, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori.
In quest’ottica, pertanto, resta giustificato l’intervento delle agenzie investigative unicamente per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (Cass. n. 3590 del 14 febbraio 2011).
In questi termini si è espressa chiaramente Cassazione n. 15867 del 26 giugno 2017, secondo la quale “se è precluso al datore di lavoro controllare e far controllare l’esecuzione della prestazione lavorativa, il principio non trova applicazione nelle ipotesi di anche solo eventuale realizzazione da parte dei lavoratori di comportamenti non consentiti esulanti dalla normale attività lavorativa. Il controllo, in sostanza, è giustificato non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. sez. lav. 14/2/2011 n. 3590: “Le disposizioni dell’art. 2 dello statuto dei lavoratori, nel limitare la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale, non precludono a quest’ultimo di ricorrere ad agenzie investigative – purché queste non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata dall’art. 3 dello statuto direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori – restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione”; conforme (Cass. 20/01/2015 n. 848 e Cass. 11/10/2016 n. 20433)“.
Ai controlli al di fuori dei confini indicati ostano sia il principio di buona fede sia il divieto di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, nella formulazione applicabile ratione temporis, vigendo il divieto di controllo occulto sull’attività lavorativa, anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l’eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti, come, ad esempio, l’esercizio durante l’orario lavorativo di attività retribuita in favore di terzi.
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