Sei anni fa, il 7 marzo 2015, entravano in vigore le tutele crescenti del Jobs Act, innovative tutele in caso di licenziamento illegittimo per i nuovi assunti a tempo indeterminato: un intervento ai tempi considerato rivoluzionario dei principi regolanti le tutele sino ad allora in vigore, che si prefiggeva di disciplinare le conseguenze del licenziamento illegittimo in modo esclusivamente automatico e sulla base di una formula matematica, dando forma all’ambizioso progetto di superare le incertezze di un sistema fino ad allora imperniato sulla discrezionalità del giudicante.
In base alle nuove regole, veniva d’un tratto ridefinito, per le aziende con più di quindici dipendenti, l’ambito di operatività del dibattuto diritto alla reintegrazione che, veniva relegata ad ipotesi residuale applicabile solo ai casi più gravi (insussistenza del fatto contestato al lavoratore, ovvero licenziamento discriminatorio o in altro modo radicalmente nullo) cedendo così il passo ad una tutela risarcitoria, da un minimo di quattro a un massimo di ventiquattro mensilità, per i canoni sino ad allora vigenti piuttosto contenuta soprattutto nei primi anni di servizio.
Almeno nelle intenzioni, la riforma avrebbe dovuto favorire nuova occupazione e ridurre gli ostacoli normativi all’attrazione degli investimenti in Italia.
A distanza di pochi anni, tuttavia, può dirsi con una certa tranquillità che le tutele crescenti originariamente introdotte hanno avuto vita molto breve e altrettanto travagliata.
Da un lato infatti l’economia reale, vero motore di ogni forma di sviluppo e crescita dell’occupazione, non ha avuto il trend auspicato dovendo affrontare da ultimo lo scenario pandemico, inimmaginabile nel 2015, rendendo impossibile riscontrare nel tempo l’incidenza espansiva delle tutele crescenti da un punto di vista occupazionale. D’altra parte, non si sono fatti attendere interventi normativi da parte dei successivi governi e in rapida successione della Corte Costituzionale, che hanno stravolto i connotati della riforma lasciando ben poco di quanto originariamente previsto.
Il primo colpo al sistema delle tutele crescenti veniva inferto dal Decreto Dignità (D.L. n. 87/2018) che, senza modificare la formula per il calcolo dell’indennizzo spettante sulla base di due mensilità per ogni anno di servizio, aumentava l’intervallo dell’indennizzo, che diventava da sei a trentasei mensilità.
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