L’emergenza sanitaria in atto dovuta al diffondersi del nuovo Coronavirus, Covid-19, ha portato il legislatore italiano ad imporre ai datori di lavoro il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e la sospensione delle procedure di licenziamento collettivo. Inizialmente introdotto dal c.d. Decreto Cura Italia, nei mesi a seguire, il divieto in questione è stato prorogato e sottoposto a diverse condizioni dal legislatore. Da ultimo, con l’art. 12, comma 11, del Decreto Legge 137/2020 (c.d. “Decreto Ristori”) il divieto di licenziamento è stato prolungato al 31 gennaio 2021. Tuttavia, il legislatore ha previsto delle eccezioni a tale divieto, tra le quali si annovera la riduzione del personale regolata da accordi collettivi aziendali che prevedano una incentivazione alla risoluzione dei rapporti di lavoro per i dipendenti che vi aderiscono. Le controparti sindacali di tali accordi possono essere le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Si richiama così la nozione di contratto collettivo introdotta dall’art. 51 del D.Lgs. 81/2015 secondo la quale per contratti collettivi si intendono i “contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”. Rispetto, però, a quanto disposto dall’art. 51, viene preclusa la possibilità di stipulare gli accordi in esame alle Rappresentanze Sindacali Unitarie e alle Rappresentanze Sindacali Aziendali per i settori non coperti dagli accordi interconfederali. Ai lavoratori interessati spetta il trattamento di disoccupazione (NASPI).