Con la sentenza n. 7190 del 18 marzo 2024, la Corte di Cassazione ha affrontato il tema della validità delle dimissioni rassegnate dal lavoratore sotto minaccia di licenziamento da parte del datore di lavoro.
Il dipendente agiva in giudizio per ottenere la nullità e, in subordine, l’annullabilità delle proprie dimissioni e l’accertamento che il rapporto di lavoro era proseguito senza soluzione di continuità, con diritto alle retribuzioni medio tempore maturate, in quanto era stato costretto a presentare una lettera di dimissioni compilata sotto dettatura di due responsabili dell’azienda, che lo minacciavano di conseguenze pregiudizievoli. La Suprema Corte ha affermato che qualora venga accertata l’inesistenza del diritto del datore di lavoro ad irrogare il licenziamento per insussistenza dell’inadempimento addebitato al lavoratore, le dimissioni rassegnate dal dipendente sotto minaccia di licenziamento sono annullabili per violenza morale. In tale ipotesi, infatti, il recesso del lavoratore trova la sua causa in una condotta intimidatoria, oggettivamente ingiusta, tale da costituire coercizione psicologica e da viziare il consenso.