La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 17287 del 27 maggio 2022, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (“RLS”), per aver fruito di permessi (giornalieri) sindacali per oltre tre mesi continuativi, per finalità diverse da quelle per le quali gli stessi erano stati previsti e concessi, ovvero per fini personali. Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione si sofferma, altresì, sul delicato tema della ripartizione dell’onere della prova dei fatti posti alla base del licenziamento.
I fatti di causa
La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore a seguito delle risultanze emerse da un’indagine investigativa commissionata dal datore di lavoro nei giorni in cui lo stesso aveva usufruito dei permessi connessi all’incarico ex art. 50 D.Lgs. n. 81/2008. Le risultanze dell’indagine, a parere della Corte, avevano dimostrato l’oggettiva incompatibilità di gran parte delle attività svolte dal dipendente con quelle proprie del suo incarico. Il lavoratore era stato, infatti, visto recarsi ripetutamente in vari bar cittadini, effettuare passeggiate sul lungomare, entrare in esercizi commerciali e attendere ad incombenze familiari.
Il lavoratore ricorreva, quindi, in cassazione avverso la decisione dei giudici di merito, adducendo come unico motivo di ricorso, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.. In sostanza il lavoratore censurava la sentenza laddove aveva ritenuto che gravasse su di lui la prova della infondatezza degli addebiti contestati; ciò in contrasto con il principio consolidato per cui è il datore di lavoro a dover provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di licenziamento.
Secondo il lavoratore, infatti, tale prova non poteva ritenersi raggiunta sulla scorta delle risultanze di un report investigativo, in quanto non realmente rappresentativo dell’attività dallo stesso espletata.
La decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso del lavoratore, ha confermato la correttezza dell’operato dei giudici di merito, non ritenendo in alcun modo ravvisabile nella sentenza impugnata, un sovvertimento dell’onere probatorio in tema di giusta causa di licenziamento.
A parere della Corte di Cassazione, la Corte di merito, all’esito dell’analitico vaglio delle risultanze in atti ed, in particolare, di quelle rivenienti dall’escussione dell’investigatore privato, aveva correttamente ritenuto che costituisse onere del lavoratore offrire elementi idonei ad incrinare tale quadro, onere ritenuto in concreto non assolto.
In altri termini, prosegue l’ordinanza, spettava al lavoratore dimostrare di essere stato effettivamente impegnato nell’espletamento dell’incarico di RLS. Tanto, a parere della Corte di Cassazione, ha escluso la denunziata violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. quale regola residuale di giudizio in conseguenza della quale la mancanza, in seno alle risultanze istruttorie, di elementi idonei all’accertamento della sussistenza del diritto in contestazione determina la soccombenza della parte onerata della dimostrazione dei relativi fatti costitutivi.
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