La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10992 /2021, ha affermato che in caso di licenziamento collettivo illegittimo per non corrispondenza al modello della comunicazione stabilito dall’art. 4, comma 9 della L. 223/1991, che costituisce “violazione delle procedure”, è applicabile la tutela indennitaria quantificabile tra 12 e 24 mensilità previa dichiarazione di risoluzione del rapporto di lavoro. Invece, nell’ipotesi di licenziamento collettivo dichiarato illegittimo per inosservanza dei criteri di scelta ex art. 5 della L. 223/1991 si applica la tutela reintegratoria attenuata.
I fatti di causa
Il caso di specie trae origine da un licenziamento intimato nell’ambito di una procedura collettiva di riduzione del personale per esternalizzazione del servizio a fronte di una riorganizzazione dell’attività produttiva; in particolare, una società datrice di lavoro aveva licenziato un proprio dipendente addetto a un determinato reparto, sostenendo la soppressione del posto. Il reparto in questione, tuttavia, era stato mantenuto in funzione dopo il licenziamento ed esternalizzato due anni dopo.
Secondo la Corte d’Appello la società datrice di lavoro non aveva adeguatamente giustificato la scelta di licenziare il dipendente a fronte dell’esternalizzazione del servizio, ritenendo, inoltre, violati i criteri di scelta applicati. La Corte condannava così la società datrice di lavoro alla reintegrazione del dipendente, al pagamento in suo favore di un’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione.
La società ricorreva in Cassazione lamentando l’erronea applicazione della tutela reintegratoria attenuata di cui all’art. 18, comma 4, L. 300/1970 in luogo di quella indennitaria forte di cui al comma 5 del medesimo articolo.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, innanzitutto, ha evidenziato che nel caso di specie non si tratta di un licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo per il quale la scelta del dipendente da licenziare non è totalmente libera ma limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di correttezza previste dagli artt. 1175 e 1375 cod. civ., “potendo farsi riferimento a tal fine ai criteri stabiliti dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, quali standards particolarmente idonei a consentire al datore di lavoro di esercitare il suo potere selettivo coerentemente con gli interessi del lavoratore e con quello aziendale”.
La Corte di Cassazione ha poi precisato che l’ipotesi in esame riguarda il recesso all’esito di una procedura di licenziamento collettivo. E sul punto ha affermato, richiamando propri precedenti giurisprudenziali, che l’art. 5, comma 3, della L. 223/1991, in relazione all’art. 18, comma 4, della L. n. 300/1970, prevede in caso di riduzione di personale con violazione dei criteri di scelta di cui al citato art. 5 l’applicazione della tutela reintegratoria attenuata (annullamento del licenziamento, reintegrazione nel posto di lavoro e pagamento di una indennità risarcitoria in misura non superiore a 12 mensilità).
All’esito del giudizio, la Corte di Cassazione ha quindi rigettato il ricorso e confermato la decisione della Corte d’Appello, giudicando illegittimo il licenziamento per difetto dei criteri di scelta e condannando la società alle conseguenze di cui all’art. 18, comma 4, della L. 300/1970.
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